lunedì 29 settembre 2008

La storia dei Minipolifonici V PARTE

(Leggi la I, la II, la III, la IV parte)

Le voci bianche proseguirono con un crescendo il loro cammino di esperienze musicali, corali, attraverso molteplici attività: concerti in ogni parte d’Italia, in Francia, in Svizz
era, in Austria, in Germania, in Grecia, collaborazioni con orchestre sinfoniche e da camera, coprendo anche ruoli che nelle varie opere liriche venivano affidati ai bambini; partecipazione a corsi in qualità di “coro laboratorio”, lezioni concerto, il tutto scandito annualmente da soggiorni estivi di studio e svago.
Il coro misto perseguì un suo grandissimo percorso di cui parlerò più avanti.
Questo capitolo, invece, desidero dedicarlo agli “angeli muti”, non cantori, quindi, ma persone che nella vita dei “Mini” scrissero pagine stupende, storiche.
Mi riferisco a quelle preziose persone (genitori soprattutto), che ogni anno, alcune per molti anni, mi assicurarono l’organizzazione dei pasti durante i vari soggiorni estivi, e accompagnarono il coro in occasioni di viaggi per concerti o concorsi, altre che sentii fortemente vicine, pronte a soccorrerci, assisterci nelle varie vicende del coro.Non immaginate quanto sia bello, confortante e quanto la nostalgia si tramuti in carezzevole sensazione ricordare quelle splendide persone e quegli splendidi momenti.
Per quindici giorni, in sperduti paesini, in strutture organizzate, in case dove ci si doveva adattare alla meglio, ci venivano preparati pasti, sempre ottimi, vari, puntuali, e serviti con il sorriso, con il genuino entusiasmo delle persone generose, fedeli, riconoscenti, felici di contribuire a rendere sereno, tranquillo il mio lavoro e quello dei miei numerosi collaboratori.
“ I nomi, vogliamo i nomi! ”
Eccoli, dunque: I Coniugi Gianotti li abbiamo già ricordati nei precedenti capitoli, con loro ricordo i Coniugi Faes, genitori di Maria, Enrico e Giovanna, pionieri e affettuosi sostenitori dei primi anni del coro: Sella Valsugana! Camparta! che pranzi! che patate al forno! quanta disponibilità nel loro cuore!
Ricordo la signora Pegoretti, mamma di Anna, affettuosa e vulcanica.
Altre presenze scandirono provvidenzialmente il percorso del coro; erano genitori che a latere, silenziosamente, e con tanta tenerezza sentivo assai vicini, anch’essi sempre pronti a “soccorrermi” nelle necessità, in modi e forme apparentemente marginali ma assai significative per la mia tranquillità.
Impossibile non ricordare i carissimi Bruna e Nino Brucoli, genitori di Roberta, che con rispettosa discrezione seguivano il coro con i loro mezzi in tutti i concorsi, in tantissimi concerti.
C’erano loro e noi vincevamo il concorso, c’erano loro ed il concerto riusciva magnificamente, al punto che, oramai abituati e quasi bisognosi della loro presenza, li considerammo i nostri “portafortuna ufficiali”.
Irene e Plinio Biondani, genitori di Chiara, affettuosi sostenitori dei Minipolifonici; Plinio, poi, quante volte, essendo taxista, mise a disposizione il suo tempo, il proprio mezzo per accompagnare i cantori quando necessitava un aiuto! la sua signora, Irene, mi accolse spesso a casa sua proponendomi prelibati pranzi e cene che i miei succhi gastrici ancora oggi ricordano con dolce nostalgia.
Gradualmente cambiavano le generazioni e con loro cambiavano pure i genitori e nuovi sostenitori delle numerose nostre iniziative.
I signori Remo e Liliana Sartori, genitori di Sonia, Luca e Nicoletta avevano un negozio di frutta e verdura; per diversi anni ci siamo serviti da loro ma credo sia stato più quello che ci hanno regalato di quello che abbiamo comperato. Dieci chili di patate diventavano per incanto quindici, allo stesso prezzo, altre volte si dimenticavano, o così ci han fatto credere, di segnare qualche chilo di frutta, di insalata e così via. In pratica, non ci siamo serviti da loro ma ci siamo serviti di loro. Li ricordo con tanta riconoscenza.
Un bel giorno, (stavo trattando l’acquisto di un’automobile presso una concessionaria), mi si presentò un signore: Rinaldo Dorigoni che mi assistette e consigliò nell’acquisto. Mi conosceva, conosceva l’attività dei Minipolifonici e timidamente mi chiese se fossi disposto ad accogliere nel coro i suoi tre figli: Roberta, Carlo e Giorgio. Dissi di si con gioia e da quel giorno iniziò una lunga, intensa, magica collaborazione con lui e con la sua cara moglie Teresa.
C’era un soggiorno e loro erano pronti a organizzare il vettovagliamento.
Colazioni, pranzi, merende, cene; quante buone cose!, quante risate, quante gioiose discussioni per riuscire a far spendere al coro il meno possibile e garantire pasti sufficienti e gustosi!
Rinaldo, poi, era veramente unico, genuino, emozionabile, sensibile, coinvolto non solo in cucina; cercò pure di collaborare nelle attività ludiche dei vari soggiorni.
Qui è d’obbligo un suo simpaticissimo aneddoto.Dunque, in uno dei numerosi soggiorni nei quali fu presente, successe che, c’era da cronometrare l’arrivo dei vari concorrenti in una corsa campestre; uno era incaricato a controllare il tempo del primo, un altro doveva controllare il tempo del secondo, Rinaldo aveva il compito di controllare il tempo del terzo classificato: Fra i concorrenti c’era pure uno dei suoi figli (è fantastico quanto successe), il quale arrivò per primo. Rinaldo, dall’emozione, fermò il suo cronometro sul tempo di suo figlio, urlando: “ Primo!... primo!..Terersa...  me fiol’ l’è ariva’ primo.. madonega!... che tempo!...” L’accaduto gli fece dimenticare di cronometrare l’arrivo del terzo che dovette accontentarsi di un tempo approssimativo recuperato da qualcuno. Fortuna volle che il quarto arrivò un po’ dopo e il dramma venne scongiurato.
Conclusasi le bella parentesi dei “Dorigoni” - così ormai erano affettuosamente chiamati da tutti noi -, la Provvidenza ci mise a disposizione altre persone amiche, così che la gestione dei soggiorni, nella cura in cucina, venne sempre assicurata.
Ed ecco allora proporsi la famiglia Grosselli: Maria Teresa e Lucillo, genitori di Andrea, Lorenzo e Maria Letizia.
La cucina, in quei giorni, diventava il loro regno, dal quale uscivano puntualmente prelibati “decreti culinari” cui tutti noi ci si adeguava volentieri.
Con i Minipolifonici di Trento, prima e con quelli di Milano, poi, potemmo disporre del loro insostituibile aiuto: affettuosamente perentoreo quello di Maria Teresa, silenzioso ma sempre appropriato quello di Lucillo; Maria letizia, anche lei nel coro, accettò volentieri e spesso di aiutarci un po’ in cucina e un po’ assistendo i cantori.
(Vai alla VI parte)

La storia dei Minipolifonici IV PARTE


(Leggi la I, la II, la III parte)
Entra in scena il Coro misto
Non voglio dilungarmi troppo nel raccontarvi la nostra storia ma al tempo stesso non voglio correre il pericolo di trascurare eventi storici legati soprattutto a ciò che per molti anni caratterizzò la componente umana dei Minipolifonici, ma volare leggero nel cielo dei ricordi, dove è più facile capire meglio molte cose; allora, tutto ciò che insieme si è fatto assume un significato magico, gli avvenimenti, tutti, anche quelli non previsti, accaddero e investirono, riempiendolo dei più svariati sentimenti, il nostro cuore. Ci beammo degli affetti, ci esaltammo dei trionfi, soffrimmo nei contrasti e giorno dopo giorno contribuimmo tutti a scrivere un pezzetto di questa nostra storia.
Con l’autunno del 1972 prese il via l’attività del Coro misto.
Volete i nomi? Ci provo, spero di non fare troppe, anche se involontarie, omissioni.
Teresa e Mario, naturalmente, poi Luisa, Daniela e Annamaria, (le tre sorelle Demattè), Serena, Maria, un’altra Annamaria, Donata, Daniela, Enrico, Gabriella (la Lella), Vincenzo, Guido, Guglielmo (Googa), Roberto, Matteo, Ettore, Ugo, Maurizio, Massimo, cui si aggiunsero quasi subito Franco, Gabriele, Stefano, Marco, Gabriele (il Bebe)...
Per un po’ fummo ospiti nei locali concessi alle voci bianche, poco dopo, soprattutto in considerazione degli orari serali delle prove, ci trasferimmo a casa mia.
Breve periodo, per poi trovare affettuosa e generosa ospitalità in casa Stelzer, genitori di Gabriele, Franco e Giuliano.Tante prove, tante partiture, tante fotocopie, e quelle chi ce le procurò? il dottor Mario Stelzer, il padrone di casa; è stata per noi una Provvidenza.
Diversi, fra quei cantori non avevano mai cantato, non essendo stati nelle voci bianche e per loro cantare “suonava” tutto nuovo.
Venne a costituirsi un gruppo di amici: giovani (mi ci metto anch’io, avevo trentadue anni) e ragazzi, che si tramutò in una “forza”.
Casa mia era diventata un luogo di quotidiana convergenza, a tutte le ore, dopo le prove, i sabati, le domeniche, e lì presero vita, concretizzandosi, innumerevoli iniziative corali e non.
La parola più frequente era: “Vado dal Conci”.
Con questo nuovo coro, nel 1974, rischiammo pure un concorso a Tosculano Maderno.
Prima di farvi sapere come andò, non me ne voglia Stefano, desidero narrarvi un aneddoto, buffo a lui riferito.
(Certo che a ripensarci ora, considero che fossimo un bel po’ sprovveduti, incoscienti, anche se felicemente spensierati).
La sera prima di partire concordammo l’orario di raduno davanti al pullman (le solite cose che fanno parte di tutti i viaggi in comitiva).
La mattina, bene o male, all’ora giusta c’erano tutti... no, mancava uno: Stefano. Strano! aspettammo ancora un po’ (allora non c’erano i cellulari). Superato il tempo massimo, decidemmo di partire, anche perché il concorso si svolgeva tutto in una giornata: mattina eliminazioni, pomeriggio concorso.
Potete immaginarlo, ero fra il preoccupato e l’arrabbiato.
Arrivammo a Tosculano in tempo per le eliminatorie e Stefano non c’era.
Pranzammo, o stavamo pranzando, non ricordo, che arrivò Stefano, sudato, imbarazzato (“beh, perlomeno è arrivato” mi dissi). Cos’era successo? Fantastico!: Stefano si alza la mattina, tranquillamente, come sempre, in bagno, davanti allo specchio, si rade fischiettando le note de “Il bianco e dolce cigno”, brano preparato per il concorso, naturalmente fischiettava la sua parte, quella del tenore: Il bianco e dolce cigno cantan...! improvvisamente si ricorda... “Il concorso!”... “Ca...pperi” “P... dirindindina!” Mamma mia... “C...orbezzoli!” e via tutte le imprecazioni del repertorio di un ragazzo ventenne.
Ora l’accorcio: non si perse d’animo, rassegnato a dover ormai saltare l’eliminatoria, dette per scontato che saremmo stati ammessi in finale (che caro!), fece di tutto per arrivare in tempo: prese la bicicletta, constatò che con quella non sarebbe mai arrivato, fece autostop e dopo quattro, cinque ore di viaggio si presentò al suo coro. L’avrei pestato...no, abbracciato!
Partecipò alla finale e anche con il suo apporto vocale vincemmo il terzo premio.
Fummo contenti. Anch’io, pur consapevole di avere ancora moltissimo da imparare (le mie esperienze come direttore di un coro misto, a quel tempo, erano pressoché nulle).
Continuiamo:
Prima di poter disporre di una sede nostra, dovemmo attendere e sperare, quindi continuammo a provare nella accogliente stube della famiglia Stelzer.
Il percorso artistico del coro misto proseguì e si arricchì di nuove esperienze: concerti, rassegne, repertori nuovi sempre più impegnativi e adeguati alla continua maturazione dei cantori.
Iniziò pure l’immissione delle “voci bianche” ormai ex e che premevano per ritornare a cantare.
Con il coro Misto soddisfai il mio sogno: quello di cantare; istituii la sezione maschile e, approfittando dell’esperienza musicale dei miei cantori mi misi assieme ai tenori e ...(cito) “dirigere e cantar, mi vidi assieme”
FINE QUARTA PARTE
(Vai alla V parte)

La storia dei Minipolifonici III PARTE

1972 - 1973
Il 1972 è stato un anno molto importante per la storia dei Minipolifonici.
Il coro si dotò del distintivo, divenuto il marchio dei Minipolifonici chiunque lo veda riconosce in quel disegno e nella scritta, I Minipolifonici e Nicola Conci.
Un magnifico disegno ideato, realizzato e donatomi dall’amico pittore Gino Novello, a quel tempo mio collega alla scuola media dove insegnavo.
Dopo la vittoria di Prato, mi dedicai subito alla preparazione del concorso di Arezzo. Ancora Arezzo? Beh, sì, mi sentivo corroborato da nuove esperienze e constatavo il continuo progresso musicale e vocale dei cantori. Ne ebbi conferma dal risultato del concorso che assegnò al nostro coro il secondo premio, prima di noi un coro bulgaro: una formazione così strabiliante per tecnica vocale e preparazione musicale, da permetterle di affrontare pagine corali che a me apparivano di sconcertante difficoltà.
Risultato positivo, dunque, per più aspetti: la soddisfazione nell’aver retto con dignità il confronto con questi “mostri sacri” della coralità infantile, un ulteriore incoraggiamento a proseguire nel percorso da me intrapreso e la conferma nella mia convinzione di dare massima priorità alla formazione musicale e vocale dei miei cantori.
Ma torniamo alla storia:
Archiviate le positive esperienze di Prato e Arezzo, mi si presentò un “problema” inatteso: due giovanotti di sedici, diciassette anni, Teresa Braus e Mario Zambotti, studenti presso l’Istituto magistrale A. Rosmini, mi chiesero di istituire il coro misto dei Minipolifonici.
Ero molto titubante; non avevo ancora intenzione di avviare l’attività con questa formazione, pensavo di attendere il naturale avvicendamento e iniziare con gli ex cantori del mio coro.
Qui ci vuole una breve premessa:Nell’Istituto da loro frequentato, l’insegnante di musica Sonia Sirsen, mia carissima amica, eccellente sia come insegnante che direttrice di coro, aveva dato vita a un gruppo corale della Scuola, ottenendo ottimi risultati. Essendo originaria di Trieste, ricevuto l’incarico per l’insegnamento nella sua città, dovette trasferirsi e quella splendida esperienza si concluse con grandissimo sconforto di tutti i cantori.
Teresa e Mario vennero da me, per il desiderio di colmare quel vuoto improvviso. Hanno insistito, insistito al punto che dovetti cedere. Accidenti a loro? No! Grazie a loro!
Iniziò una nuova avventura, un’avventura colma di infinite, splendide emozioni, tensioni, inevitabili fra tante preziose individualità ma sicuramente apportatrice di ulteriori soddisfazioni per tutti. Fu un succedere di iniziative, avventure corali e umane alle quali io devo numerosi momenti di intima gioia.
In tutto questo fui solo? No! Non sono mai stato solo (accettate il gioco di parole): io ero “solo” un musicista, ma trovai tante preziose persone che hanno creduto in me, mi hanno compreso, accettato e silenziosamente assistito, senza di loro i Minipolifonici non ci sarebbero.
Quella che sto raccontando, infatti, non è solo la storia di un coro, delle sue attività, dei suoi concerti, dei suoi trionfi, è la storia di un piccolo, meraviglioso mondo costituito da tante anime che nei Minipolifonici hanno creduto, vissuto, internamente o di riflesso, contribuendo a farne una Istituzione, vanto per la città, luogo di incontro, nel quale la musica era collante per la condivisione di pensieri, gioie, ansie, affetti.
Sento la necessità di ricordare alcuni di questi nomi, nomi storici che a lungo e in vari modi hanno rappresentato punti fermi nella tutela dei Minipolifonici.
Non sciorinerò nomi a caso o in ordine alfabetico, ma ogni tanto ne menzionerò qualcuno collocandolo nel tempo in cui procede la narrazione della storia.
Inizio con Ivo Tartarotti, primo Presidente dei Minipolifonici, egli, senza nulla chiedere, senza particolari garanzie, forse anche senza particolari prospettive, per puro spirito di collaborazione, accettò la carica di Presidente e assieme, iniziammo il cammino, reciprocamente ignari di cosa il futuro avrebbe potuto riservarci.
Lui, e per affettuoso contagio, la sua cara moglie Sara, seguirono le avventure dei piccoli cantori, fra i quali c’era pure loro figlio Massimo, seguirono me per molti anni senza mai interferire, ostacolare, venendomi appresso solo per stima e fiducia.
A loro il primo “Grazie” di questa lunga storia, grazie che verrà implicitamente ripetuto ai prossimi protagonisti.
Accanto a Ivo, per alcuni anni, ha retto le sorti della segreteria e dell’esigua cassa, Paolo Mattedi.
Lui ha dovuto usare molta pazienza con me, io avrei voluto spendere, lui, che lavorava in banca, mi invitava alla prudenza: i soldi erano pochi, sempre troppo pochi, io insistevo: c’è bisogno di questo, di quello... e alla fine cedeva, accontentandomi. Che angelo!
C’è un altro proverbio che dice: “La luna senza sole non risplende, la merce senza soldi non si vende”. Quanto è vero! Io comunque, mai mi preoccupai per i soldi. Certo che ce n’è sempre stato bisogno ma ho avuto anche, sempre, ma proprio sempre, una Provvidenza nascosta nei volti e nei cuori di molte persone.
I primi anni ebbi il grandissimo sostegno di Vigilio Deanesi, genitore di Mauro, Claudia e Paolo.
Quanto mi sia stato di aiuto è difficile quantificare. Per diversi anni ci procurò frutta e verdura nei numerosi soggiorni, mettendoci a disposizione pure furgone, autista, per portare tutto, anche le attrezzature per il soggiorno, nella località prescelta.
Ricordo il sostegno morale del compianto Bruno Banal, genitore di Guglielmo, Gabriele, Marco, Michele, Luca. Egli mi fu vicino sempre, lo ricordo quando accompagnò me e i cantori, nel nostro primo viaggio ad Arezzo, inoltre, proprio il primo anno quando manifestai a lui l’intenzione di portare i cantori quindici giorni in montagna, le sue parole, sagge, rispettose mi incoraggiarono a decidere e dare avvio alla lunga serie di queste avventure.
A proposito di soggiorni, dal primo, nel 1971 all’ultimo nel 2004, la presenza di genitori e persone disponibili a preparare i pasti, col desiderio di portare aiuto, sollievo a me e al mio lavoro, ha rappresentato un altro volto della Provvidenza.
Eccoli quei preziosi, generosi angeli custodi delle mie prime, lontanissime ma dolcemente ancora vive, iniziative corali:
I Coniugi Gianotti, genitori di Roberto, i coniugi Faes, genitori di Maria, Enrico e Giovanna,
Il primo, a Sella Valsugana, è da ricordare, non perché più importante di altri ma proprio perché era il primo e tutti sanno che “il primo amore non si scorda mai”...
Un aneddoto? Eccolo: Avevamo terminato le prove, (ci stavamo preparando per Arezzo), i cantori erano sul cortile davanti alla casa, la cucina aveva la porta aperta.
I bambini, allora tutti maschi, stavano giocando, a cosa? a pallone, naturalmente!.
Esce la signora Gianotti e, riporto su per giù quello che disse: “ Ehi, mateloti, stè atenti con quel balon, de non tirarlo en cosìna, son drio che preparo el ragù!”
Neanche l’avesse intuito che, cinque minuti dopo: “ SPLASCH! il pallone piomba nella pentola del ragù. Esce la signora Gianotti con il mestolo in mano... “ Chi è sta’?... Silenzio... “ Chi è sta’?, ancora più forte e rossa in viso. “ So’ sta’ mi, mama... non l’ho fat aposta!” Era suo figlio Roberto. Situazione imbarazzante... “ Spiazarol!... e tornò in cucina brontolando: “tuti uguali sti mateloti!”
L’incidente finì lì. Grazie, Roberto! Il ragù, comunque, risultò ottimo!

Del secondo posto ad Arezzo ero rimasto contento, chiaro! ma non soddisfatto.
Potevamo migliorare, al di là del concorso ma, si sa, al concorso si va con tutte le buone intenzioni ma segretamente, una delle prime, si va per vincere e si canta per vincere.
Allora l’anno successivo, rinnovai la domanda. Sentivo i cantori pronti per affrontare il concorso e ambire di più. Ventisette voci mature, belle, grintose, insomma eravamo i “Minipolifonici!”
Lavorammo tantissimo, preparammo un programma tosto, azzardai “Le laudi alla Vergine” di G: Verdi, (avevo un’edizione su cui era scritto “Per voci bianche” e finalmente, via alla volta di Arezzo.
Arezzo 1973 La cronaca finale:
“Attenzione prego, attenzione prego, ventunesimo concorso polifonico internazionale Guido D’Arezzo, categoria cori di voci bianche; la giuria composta dai maestri... ha così votato: pausa... terzo classificato... non noi, secondo classificato... non noi, primo classificato... altra pausa, lunga, pareva non finisse mai, nessuno poteva sapere fino all’ultimo chi sarebbe stato nella terna, avremmo potuto essere risultati anche ultimi... I Min...” basta, non era necessario sentire altro.
Il resto è cronaca già letta nelle precedenti puntate: quanta felicità! quante emozioni! quanta ammirazione per quegli splendidi cantori!
FINE TERZA PARTE

La storia dei Minipolifonici II PARTE



Conoscete il proverbio che recita così: La fortuna aiuta gli audaci... E gli incoscienti?
Gli incoscienti, a volte, riescono a salvarsi se possono contare su un nutrito stuolo di Angeli Custodi.
Penso sia successo così, a me, se, nel 1971, dopo solo un anno di vera attività corale, decisi di portare quei fanciulli (alcuni di appena sette-otto anni) nientemeno che al concorso Polifonico Internazionale di Arezzo. Pezzo d’obbligo: Il Grillo di Orazio Vecchi, proposi poi Laudate Dio di G. Animuccia, e un altro brano che ora non ricordo.
Al concorso c’erano cori italiani e stranieri, questi, uno meglio dell’altro, specie il coro bulgaro vincitore del primo premio. Ci qualificammo IV, con un premio per il miglior coro italiano di quella categoria.
Riuscii a non stordirmi per l’inatteso risultato, anzi, tornai a casa con mille nuovi propositi.
Come prima cosa, decisi di cambiare radicalmente l’impostazione del coro, puntando a farne una Scuola di Coro. Consideravo importanti e prioritarie la formazione musicale e vocale dei cantori sull’allestimento del repertorio.
Come già scrissi, il coro, allora, era composto solo da bambini maschi. Insegnando educazione musicale alle scuole medie di Trento, dove c’erano classi maschili e femminili, mi chiesi perché non avrei potuto inserire nel coro anche le ragazzine.
Non riuscii a trovare motivazioni che potessero impedirmi di farlo, per cui in autunno aprii le porte del coro di voci -bianche, da secoli riservato rigorosamente ai soli maschi, anche alle bambine. Di alcune di queste “pioniere” ricordo ancora il nome: Anna, Chiara, Fernanda, Francesca, Giuseppina (per noi “la Beppa”), Patrizia, Roberta, Sandra...
Terremoto, sconcerto, mugugni di qualche maschietto, fiancheggiato dai genitori, che forse temeva di perdere ruoli primari nel coro, perplessità fra i nostalgici dei cori maschili, ma ne uscii indenne.
Non mi limitai a questo, feci di peggio: ritenni necessario staccarmi dal ruolo iniziale di coro della Parrocchia, laicizzandone la struttura.
Pure in questa occasione ci furono momenti di forte tensione, con il Parroco e alcuni genitori (pochi per la verità).
La maggioranza scelse di affidarsi alla persona e alle sue proposte didattiche.
Le conseguenze? Persi l’uso della sede in Parrocchia, che fortunatamente, trovai presso la vicina scuola elementare Nicolodi, grazie alla cortese ospitalità del Direttore dott. Mazzetti.

I Minipolifonici!
Partiti, quindi, lanciati verso entusiasmanti, trionfali, splendide emozioni corali.
Vi racconto la prima:
Nel 1972, corroborato dagli insegnamenti del precedente Arezzo, con i cantori più maturi, più musicalmente consapevoli, decisi di affrontare un concorso nazionale.
Mi si presentò il Concorso di Prato che ritenni adeguato a me e ai miei cantori. Iscrissi il coro, fummo ammessi, ci preparammo, partimmo. Quanti cori! Riuscii ad ascoltarne qualcuno, poi pensai ai miei cantori, tanto non avevo nulla da perdere; era la prima volta e, andasse come andasse, mi ritenevo già fortunato di essere stato ammesso.Tutti parlavano di un coro che aveva vinto l’edizione dell’anno precedente e pronosticavano il bis. Un direttore di coro mi disse: “Dobbiamo rassegnarci, non c’è niente da fare, da come hanno cantato finora i cori, lui è il migliore, la vittoria sarà sua anche quest’anno”. Subito dopo toccava a me e allora, fuori, in palcoscenico.
Il palco era ancora chiuso ed ebbi il tempo di sussurrare ai bambini: “Boci, abbiamo lavorato tanto, voi ed io, non rovinate tutto questo lavoro con la disattenzione, guardatemi e cantate come sapete...”
Nel dare l’intonazione avevo la voce e le mani che tremavano, presero la nota ugualmente: era la loro solidarietà. Il primo brano: “Madonna io v’amo e taccio” di C. Festa, il secondo: “Sanctus” di E. Desideri, il terzo, brano d’obbligo: “Madre del mio Gesù” di L. Cherubini, il quarto: “Vorrei parlar di te” di C. Eccher. Al termine dell’esecuzione strizzai l’occhio ai miei cantori e uscimmo.
Dissi ai bambini: “Bravi, boci”. Alcuni fra il pubblico si avvicinarono e mi fecero i complimenti. Che gentili, pensai. Sapete, in quelle situazioni, o si capisce poco di cosa stia succedendo o si capisce male, io avevo la mente confusa, ricordo solo che, quando mi chiamarono per salire sul palcoscenico, intuii che qualcosa sarebbe accaduto. Lo speaker con il tradizionale sadismo bianco che caratterizza tutti loro, iniziò con calma a comunicare la terna dei vincitori partendo dal terzo classificato. Allora capii il motivo della mia presenza lì: il mio coro era compresa nella fulgida rosa dei tre premiati.
“Comunichiamo l’esito del Concorso... Terzo classificato: coro... (bene). Secondo classificato: Coro... non noi!
Un urlo in platea, un urlo nel mio cuore che batteva all’impazzata. Abbiamo vinto! Oggi è di moda urlare: “Ssiii!, E Vvaii!” (con più punti esclamativi possibili.
Sono belle sensazioni, grandi sensazioni. Ti senti colmo di gioia e al tempo stesso leggero come una piuma. Abbracci, baci, strette di mano, quante strette di mano! E le gambe, il fisico... sembrava si fosse dimenticato di me, che fosse andato a festeggiare altrove, perché io mi sentivo quasi venir meno.
Ma non importa, che splendidi quei miei bambini!
FINE II PARTE

sabato 13 settembre 2008

Il coro nella scuola

Tanti sono i cori scolastici, ma quanti sono i docenti che hanno i requisiti per insegnare a cantare? Pochi, sempre troppo pochi! L'insegnamento del canto necessita di una cosciente preparazione sulla tecnica vocale, specie se si lavora con i bambini il cui apparato fonatorio è in continua evoluzione. Il rischio maggiore è che i difetti di emissione, soprattutto a quell'età,  se non controllati e adeguatamente corretti possano causare danni. Se consapevole, attento e scrupoloso, il maestro può intervenire o quantomeno evitare di produrre danni. Ancora di più: può dare al cantore la possibilità di scoprire qualità vocali spesso inimmaginabili. 
Nella scelta del repertorio è importante considerare e valutare le diverse età del bambino. A un bambino di sei anni per esempio, non si possono proporre gli stessi canti proposti a bambini di dieci anni e viceversa: il contenuto letterario e la difficoltà musicale deve fare la differenza! Inoltre: nelle realtà scolastiche italiane spesso gli insegnanti sono costretti a rabberciare in poche lezioni e con 60 o più bambini contemporaneamente, saggi natalizi e di fine anno scolastico.
Così ogni anno si assiste con tristezza a deplorevoli esecuzioni scolastiche nelle quali masse di bambini, stipati nel migliore dei casi in piccoli teatri, cantano a squarciagola, con un'estensione che non è la loro e spesso con un testo non appropriato.
Fermiamo questo strazio!