lunedì 29 settembre 2008

La storia dei Minipolifonici II PARTE



Conoscete il proverbio che recita così: La fortuna aiuta gli audaci... E gli incoscienti?
Gli incoscienti, a volte, riescono a salvarsi se possono contare su un nutrito stuolo di Angeli Custodi.
Penso sia successo così, a me, se, nel 1971, dopo solo un anno di vera attività corale, decisi di portare quei fanciulli (alcuni di appena sette-otto anni) nientemeno che al concorso Polifonico Internazionale di Arezzo. Pezzo d’obbligo: Il Grillo di Orazio Vecchi, proposi poi Laudate Dio di G. Animuccia, e un altro brano che ora non ricordo.
Al concorso c’erano cori italiani e stranieri, questi, uno meglio dell’altro, specie il coro bulgaro vincitore del primo premio. Ci qualificammo IV, con un premio per il miglior coro italiano di quella categoria.
Riuscii a non stordirmi per l’inatteso risultato, anzi, tornai a casa con mille nuovi propositi.
Come prima cosa, decisi di cambiare radicalmente l’impostazione del coro, puntando a farne una Scuola di Coro. Consideravo importanti e prioritarie la formazione musicale e vocale dei cantori sull’allestimento del repertorio.
Come già scrissi, il coro, allora, era composto solo da bambini maschi. Insegnando educazione musicale alle scuole medie di Trento, dove c’erano classi maschili e femminili, mi chiesi perché non avrei potuto inserire nel coro anche le ragazzine.
Non riuscii a trovare motivazioni che potessero impedirmi di farlo, per cui in autunno aprii le porte del coro di voci -bianche, da secoli riservato rigorosamente ai soli maschi, anche alle bambine. Di alcune di queste “pioniere” ricordo ancora il nome: Anna, Chiara, Fernanda, Francesca, Giuseppina (per noi “la Beppa”), Patrizia, Roberta, Sandra...
Terremoto, sconcerto, mugugni di qualche maschietto, fiancheggiato dai genitori, che forse temeva di perdere ruoli primari nel coro, perplessità fra i nostalgici dei cori maschili, ma ne uscii indenne.
Non mi limitai a questo, feci di peggio: ritenni necessario staccarmi dal ruolo iniziale di coro della Parrocchia, laicizzandone la struttura.
Pure in questa occasione ci furono momenti di forte tensione, con il Parroco e alcuni genitori (pochi per la verità).
La maggioranza scelse di affidarsi alla persona e alle sue proposte didattiche.
Le conseguenze? Persi l’uso della sede in Parrocchia, che fortunatamente, trovai presso la vicina scuola elementare Nicolodi, grazie alla cortese ospitalità del Direttore dott. Mazzetti.

I Minipolifonici!
Partiti, quindi, lanciati verso entusiasmanti, trionfali, splendide emozioni corali.
Vi racconto la prima:
Nel 1972, corroborato dagli insegnamenti del precedente Arezzo, con i cantori più maturi, più musicalmente consapevoli, decisi di affrontare un concorso nazionale.
Mi si presentò il Concorso di Prato che ritenni adeguato a me e ai miei cantori. Iscrissi il coro, fummo ammessi, ci preparammo, partimmo. Quanti cori! Riuscii ad ascoltarne qualcuno, poi pensai ai miei cantori, tanto non avevo nulla da perdere; era la prima volta e, andasse come andasse, mi ritenevo già fortunato di essere stato ammesso.Tutti parlavano di un coro che aveva vinto l’edizione dell’anno precedente e pronosticavano il bis. Un direttore di coro mi disse: “Dobbiamo rassegnarci, non c’è niente da fare, da come hanno cantato finora i cori, lui è il migliore, la vittoria sarà sua anche quest’anno”. Subito dopo toccava a me e allora, fuori, in palcoscenico.
Il palco era ancora chiuso ed ebbi il tempo di sussurrare ai bambini: “Boci, abbiamo lavorato tanto, voi ed io, non rovinate tutto questo lavoro con la disattenzione, guardatemi e cantate come sapete...”
Nel dare l’intonazione avevo la voce e le mani che tremavano, presero la nota ugualmente: era la loro solidarietà. Il primo brano: “Madonna io v’amo e taccio” di C. Festa, il secondo: “Sanctus” di E. Desideri, il terzo, brano d’obbligo: “Madre del mio Gesù” di L. Cherubini, il quarto: “Vorrei parlar di te” di C. Eccher. Al termine dell’esecuzione strizzai l’occhio ai miei cantori e uscimmo.
Dissi ai bambini: “Bravi, boci”. Alcuni fra il pubblico si avvicinarono e mi fecero i complimenti. Che gentili, pensai. Sapete, in quelle situazioni, o si capisce poco di cosa stia succedendo o si capisce male, io avevo la mente confusa, ricordo solo che, quando mi chiamarono per salire sul palcoscenico, intuii che qualcosa sarebbe accaduto. Lo speaker con il tradizionale sadismo bianco che caratterizza tutti loro, iniziò con calma a comunicare la terna dei vincitori partendo dal terzo classificato. Allora capii il motivo della mia presenza lì: il mio coro era compresa nella fulgida rosa dei tre premiati.
“Comunichiamo l’esito del Concorso... Terzo classificato: coro... (bene). Secondo classificato: Coro... non noi!
Un urlo in platea, un urlo nel mio cuore che batteva all’impazzata. Abbiamo vinto! Oggi è di moda urlare: “Ssiii!, E Vvaii!” (con più punti esclamativi possibili.
Sono belle sensazioni, grandi sensazioni. Ti senti colmo di gioia e al tempo stesso leggero come una piuma. Abbracci, baci, strette di mano, quante strette di mano! E le gambe, il fisico... sembrava si fosse dimenticato di me, che fosse andato a festeggiare altrove, perché io mi sentivo quasi venir meno.
Ma non importa, che splendidi quei miei bambini!
FINE II PARTE

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