venerdì 19 dicembre 2008

La storia dei Minipolifonici XII PARTE

Bella la nuova sede: luminosa, grande (anche nell'affitto); iniziammo con ancora maggiore entusiasmo, speranze, determinazione e progetti, tanti progetti.
Ma i progetti hanno bisogno di strumenti che concorrano a realizzarli, e fra questi c’ era la necessità di un pianoforte, un mezza coda, poi un buon computer per la gestione dell’ufficio. Qui desideriamo ricordare con affetto la signora Bonivento (Pucci per gli amici, e quindi anche per noi), mamma di Margherita e Claudia. Tanto fece e tanto brigò che riuscì a faci avere, tramite un suo generoso amico, un bellissimo pianoforte a mezza coda e un utilissimo computer. Altri genitori, in forme diverse, ci hanno sempre assistiti e menzionarli tutti diventerebbe assai difficile, ma per ognuno di loro rimarrà a lungo nel tempo il nostro riconoscente pensiero.
Il coro, pur nella continua alternanza delle voci, manteneva solido il suo livello quasi professionale, caratteristica della didattica dei Minipolifonici. Le lezioni solistiche davano frutti: molte voci, tutte diverse e con diverse caratteristiche timbriche, diversi problemi, alcuni grossi, altri risolvibili in minor tempo, molti risolti; è così che potemmo scoprire voci veramente belle, particolari, alcune eccezionali. A premiare questo lavoro, nostro e dei cantori, giunse una telefonata dal Teatro Donizetti di Bergamo: erano in preparazione i festeggiamenti per il bicentenario della nascita di Gaetano Donizetti, (1797), grande compositore bergamasco, e cercavano sei bambini, unici protagonisti di un’operina: ”La prova dell’Accademia finale” scritta da Simone Mayer per i suoi allievi di composizione e canto fra i quali vi era pure Donizetti, allora undicenne. La parte richiedeva bambini in grado di sostenere brani di grande difficoltà, con passi di vero virtuosismo vocale. (Nel 1700 chi studiava musica doveva conoscere non solo la composizione e saper suonare anche più strumenti ma doveva possedere pure una grande conoscenza della voce nel canto e solida tecnica vocale).
Il direttore artistico del teatro e il direttore di esecuzione vennero in sede, ascoltarono i bambini e mezzora dopo ci affidarono con entusiasmo e ammirazione l’incarico di prepararli per le quattro recite in programma.Ecco i nomi di questi piccoli ma grandi artisti: Giuseppe Bartesaghi, Matteo Cavallini, Giulia Foppoli, Paola Insolia, Alessandra Palidda, Erica Pozzi. Un particolare che ci piace farvi sapere, emozionante per noi: quest’opera fu eseguita la prima volta dai sei ragazzini, allievi di quel tempo, fra cui Donizetti, la seconda volta dai ragazzini cantori dei Minipolifonici, ognuno dei quali impersonificava uno degli antichi protagonisti.
Come andarono le recite? “Un vero e grande successo”. Non vogliamo trascurare di ricordare anche i sostituti, altri cantori che intervennero pure loro in una recita: Manuela e Rita Tanda,  Silvia Laniado, Clara Pozzi.

Come abbiamo scritto sopra, la sede era bella, grande, con tre luminosissime sale di sessanta metri quadri l’una, un atrio altrettanto spazioso, altre due aule poco più piccole e un bell’ufficio.
Ciascun’aula era destinata a diverse necessità: c’era quindi un’aula per gli allievi di sei/nove anni, nella quale allestimmo pure uno spazioso angolo con tavolini e sedie destinato ai piccolissimi; un’altra aula era riservata alle lezioni di “lettura musicale” (noi consideriamo condizione irrinunciabile dare ai cantori l’opportunità e i mezzi per raggiungere coscientemente e con padronanza, autonomia nella lettura e intonazione delle note); c’era poi l’aula della “Formazione da concerto”.
Rendere accogliente la sede ha sempre rappresentato un obiettivo importante da raggiungere. La sede, per noi, significa luogo di incontro, diverso, totalmente diverso dall’ambiente scolastico. Tutto ciò che in essa è contenuto appartiene al quotidiano vissuto dei cantori: cartelloni, di-segni, furtivi messaggi di saluto, trofei, a volte ninnoli lasciati lì dai bambini quasi a voler prolungare e virtualmente confermare l’appartenenza a quel gruppo, sicuri che al ritorno, la volta successiva, essi saranno ancora lì ad aspettarli per continuare assieme il cammino musicale. E, specie i bambini piccoli, ma no, anche gli altri, tutti, al termine delle lezioni, si faticava a mandarli a casa. I più piccini, poi, entrati in sede, per prima cosa si toglievano le scarpe, per cui, dopo diventava arduo correre dietro a loro per rimettergliele; una corsetta alla tastiera, per ricercare le note della canzone appena imparata, poi via a suonare uno strumentino, a prendere la mano della mamma per portarla a vedere il proprio disegno appeso alla parete, sembrava cercassero qualcosa da fare pur di rimanere ancora un po’ nel loro angolo della musica.
E così il tempo trascorreva, a volte correva, specie in prossimità di concerti.
E quelli arrivavano: in Lombardia (molti a Milano), in Veneto, nel Lazio, in Piemonte...
In occasione di un concerto in un’importante chiesa di Milano, venne ad ascoltarci Ornella Vanoni. Deve aver apprezzato le voci dei bambini perché li volle nella realizzazione di un suo nuovo CD. Fu un lavoro impegnativo ma ne valse la pena.
In un’altra occasione, era l’11 febbraio del 1999, ricevemmo una telefonata che ci informava della scomparsa di Fa
brizio De Andrè, e per chiedere la presenza del nostro coro a Genova alla cerimonia funebre. La richiesta ci venne dalla moglie di Fabrizio, che avendoli sentiti cantare, espresse questo desiderio.
Fu per tutti, un’emozione grandissima, per noi che di Fabrizio cantammo per anni le sue fantastiche canzoni (splendida colonna sonora negli anni della nostra ancora giovane età) e per i bambini, storditi e attoniti, sommersi da una grandissima folla che stipava la chiesa e attorniati da personaggi famosi della musica e dello spettacolo, amici di Fabrizio. Noi, adulti, vivemmo questa inattesa partecipazione un po’ come grato omaggio a uno fra i più grandi “cantastorie” italiani. Quando poi Matteo, all’ambone, intonò da solo “Du bist bei mir” di J. S. Bach, il silenzio assoluto pervase la chiesa e la voce limpida del bambino impose ancor più una grande ma composta commozione.
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martedì 2 dicembre 2008

La storia dei Minipolifonici XI PARTE

La storia dei Mini di Milano è un concerto eseguito a “quattro mani” dalla Leo e da me,  e va scritta quindi a "quattro mani" perché assieme l’ avviammo e assieme la concludemmo.
In nove anni di attività, ne son passati di bambini! Impossibile menzionarli tutti, ma, vogliamo ricordarne alcuni, perché furono loro a segnare l’inizio di questa nuova meravigliosa avventura.
Ecco, allora, le prime “colonne” dei “Mini di Milano”.
Speriamo di non trascurarne troppi, anche se contro la nostra volontà.
Davide, Giuseppe, Samia, Kathiusha, Paola, Alvise, Carlo, Matteo, Sergio, Francesca, Daniele, Antonio, Camillo, Michele, Stefano, Andrea, Regina, Giovanni, Ismael; altri poco dopo dovettero lasciare il coro per il cambio di voce che, specie nei ragazzi maschi, “semina vittime” nel periodo dell’adolescenza; molti altri erano davvero piccolini ed ebbero più tardi occasione di essere protagonisti nei successivi appuntamenti.E adesso possiamo proseguire.
Organizzammo la scuola strutturandola in diversi gruppi a seconda delle età; I più piccoli suddivisi fra quelli di tre anni, quattro anni e cinque anni, età molto diverse anche se vicine, per le quali è necessario un diverso approccio con la musica. Istituimmo poi tre gruppi corali: il primo per cantori di sei/sette anni, il secondo cantori di otto/nove anni, il terzo “la formazione da concerto” dieci/quattordici anni. I cantori di quest’ultima formazione, oltre alla lezione di lettura musicale e le prove di coro, ricevevano un’ora di lezione vocale solistica, condizione indispensabile per poter lavorare e controllare costantemente il percorso della loro voce.
Queste furono le prerogative che fecero della scuola di musica dei Minipolifonici di Milano la vera scuola di coro che permise ai cantori di affrontare con consapevolezza e lucidità vocale qualsiasi repertorio, antico e contemporaneo.
Questa caratteristica permise al coro di allestire numerosi brani, anche di notevole difficoltà e se necessario, in brevissimo tempo.
In quel periodo il coro partecipò alla prima esecuzione italiana dell’oratorio “Clamour du Monde” di F. Pantillon, eseguito con il coro della radio svizzera e l’orchestra sinfonica dell’Università la cattolica di Milano, all’esecuzione dei corali di J S; Bach, a concerti a Varallo Sesia, Borgosesia, ad Alba e a Bellinzona, presentando una prima esecuzione per coro di voci bianche della “Favoletta” di C: F: Semini.
Rimanemmo nella sede di Via Zuretti per tre anni, da dove partimmo più volte per concerti in Lombardia, (Milano, Crema, Cremona, S. Angelo lodigiano), in Piemonte, in Veneto, in Svizzera, a Roma.
E anche qui, puntuale, un tenerissimo aneddoto: un giorno venne a trovarci un nostro carissimo amico e mio ex cantore, venne con la sua compagna e (aneddoto su aneddoto), rimanemmo sorpresi, per non dire sconvolti, nel vederli ogni tanto estrarre ognuno il loro cellulare e parlare al telefono.
(I cellulari, nel 1993, non avevano la diffusione di oggi!, noi stessi guardavamo con un certo distacco quelli che parlavano con quel “coso” vicino all’orecchio), figuratevi quindi il nostro sconcerto nel vederli parlare ognuno con il proprio telefonino.
Oggi nemmeno ragazzini di otto, dieci anni rimarrebbero stupiti, ma allora!
Dunque, questo nostro amico, dopo i cordiali convenevoli di: “Come va?, come state?, cosa fate di bello? ecc..., ci apostrofò così, di brutto: “Voi cosa chiedete per un concerto delle voci bianche dei Minipolifonici?” Ritenendola una domanda solo curiosa gli comunicammo la cifra. “Va bene”, disse, “allora io voglio te e il coro dei Minipolifonici per cantare al mio matrimonio che sarà celebrato a Roma.” Inutili furono i nostri tentativi di rifiutare il compenso, non ci fu modo di dissuaderlo.
Fu una cerimonia bellissima, il canto di quei bambini lo commosse e lo riempì di gioia, e noi? Immaginatelo!
Dopo questo impegno, ci volle ancora a Roma per un concerto a favore dell’Associazione “Bambini cardiopatici”, e questa volta fummo lieti di offrirlo, provando tutti, bambini e noi, altre fortissime emozioni. Cantammo ancora per quella Associazione, considerando la nostra partecipazione un piccolo dono dei nostri bambini ad altri bambini sofferenti.
Ci fa piacere ricordare il nome di questo nostro amico: Giovanni Danieli, non solo per quanto raccontato prima ma anche perché egli ci fu vicino per molto tempo, sostenendo personalmente spese per le attività del coro e per l’acquisto di una splendida fotocopiatrice che ci risolse non pochi problemi nell’organizzazione delle parti per i cantori.
La sede di via Zuretti stava rivelandosi sempre meno adeguata alle nostre prospettive didattiche per cui ci guardammo attorno alla ricerca di una soluzione più idonea.
La trovammo dalla parte opposta di Milano: in zona Ovest (Milano è divisa in “zone” ognuna delle quali contiene centocinquanta/duecentomila abitanti), per cui il nostro trasloco assunse le dimensioni di un vero e proprio trasferimento. Ciò comportò un grande rischio: quello di perdere cantori ai quali, raggiungere la nuova sede, avrebbe comportato un maggior impiego di tempo.
Ma come sempre, potemmo contare su genitori meravigliosi, che, pur consapevoli di inevitabili disagi, non si scoraggiarono, anzi, si organizzarono con un pulmino per accompagnare i bambini alle prove.( C’era un cantore: Giuseppe, che veniva due volte la settimana nientemeno che da Mandello, sul lago di Como).
Il trasloco materiale dell’attrezzatura fu un’impresa epica per la quale ancora una volta potemmo contare sulla generosità e disponibilità di genitori e amici.
Per due caldissimi, afosi giorni (era fine giugno), ci fu un andirivieni di furgoni, macchine, genitori che si prodigavano nel trasportare tutto e a spalla, al terzo piano del nuovo edificio. E’ dolcemente doveroso ricordarli perché senza di loro, per noi sarebbe stato quasi impossibile. Ricordiamo (com’è possibile dimenticarli?) i loro nomi: Bartesaghi, (genitori di Giuseppe e Tommaso), Cavallini (genitori di Matteo), Campagna (genitori di Federico), Grippa (genitori di Kathiusha), Tanda (genitori di Rita e Manuela), Mette (genitori di Michele e Francesca), inoltre, assai prezioso fu anche l’aiuto di Roberto Cavosi, un nostro allievo e amico di Bolzano che in quei giorni venne appositamente per darci una mano. (non ce ne vogliate se omettiamo qualche nome...)
Alcuni mobili provenivano da casa nostra e trovammo in Stefano Lovato (un altro nostro amico cantore) la disponibilità del furgone e della sua guida; lo vogliamo ricordare perché si rese disponibile, al termine del suo lavoro senza chiedere nulla; partì con noi da Trento la sera molto tardi, arrivammo a Milano verso le due di notte, ci aiutò a scaricare e ripartì subito perché la mattina dopo avrebbe gareggiato nella “Trento-Bondone” . A tutte queste persone diventa davvero confortante manifestare la nostra riconoscenza, anche a nome delle future generazioni di Mini che si sono trovati una sede bella, accogliente, frutto pure della loro generosità.
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domenica 23 novembre 2008

La storia dei Minipolifonici X PARTE

Lo svilupparsi delle proposte didattiche offerte agli allievi dalla Scuola di Musica penalizzò pesantemente l'afflusso di nuovi cantori nel coro, al punto che, pur bandendo numerose audizioni, visitato scuole, mi vidi costretto a interrompere l’attività del Coro di voci bianche dei Minipolifonici di Trento; ma...:
Era il 1988; una sera, verso le dieci e mezzo squillò il telefono:  “A quest’ora!” dissi, “chi può essere?” Dall’altra parte del cavo una voce: “Qui è il teatro alla Scala, avrei bisogno di parlare con il M° Conci” “Sono io” risposi, “Buona sera, Maestro, le interesserebbe una collaborazione con il Teatro? “... Beh... (salivazione zero... ma controllo) “si...” risposi, “Bene, il M° Muti desidererebbe incontrarla”.
Quella sera ebbe inizio un’altra mia affascinante avventura.
L’impegno presso quel teatro fu ricco di importanti, entusiasmanti esperienze.
Fu emozionante lavorare con vere icone della musica come Riccardo Muti, Gian Andrea Gavazzeni, Zubin Meta, Gary Bertini... Altrettanto emozionante anche se non nuovo per me, fu lavorare con i bambini del Teatro: è vero, i bambini son tutti uguali ma le proposte e gli impegni artistici del Teatro, mi davano quell’indispensabile spinta verso la perfezione che cercai di trasmettere anche a loro.
Mi risposero con mirabile, spontanea immediatezza e dedizione. Ciò mi permise di realizzare, oltre ai normali impegni del Teatro, un ricchissimo repertorio di brani: a cappella, con pianoforte, arpa, organo e orchestra, in virtù dei quali, ogni anno il coro si esibiva in Teatro inserito nel calendario dell'attività concertistica.
Nel periodo di permanenza in Scala, ebbi come referente per la gestione organizzativa delle lezioni ai cantori, un valido, rispettoso e sempre puntuale appoggio dal prof. Piercarlo Reali, con il quale si instaurò un rapporto di reciproca stima e affetto. 
Nel 1993 la Scala chiuse il coro di Voci bianche e trasferì la gestione dello stesso al Conservatorio di Milano. Un dramma? per niente! mi dispiacque, è vero, lavorare presso quel Teatro è stato bellissimo, ho imparato molto, stimolato da programmi impegnativi, di prestigio e di conseguenza prodighi di soddisfazioni professionali.
Ma tutto, prima o poi inizia e tutto, prima o poi finisce. Il dispiacere più grand
e fu per i miei cantori: una cinquantina di bambini ai quali non andava giù dover rinunciare a cantare con me (con Conci, dicevano). Tanto fecero che mi “costrinsero” a fare un coro a Milano.
Come narrai precedentemente, non potendo più avere il coro di bambini a Trento, assieme a mia moglie Eleonora lo istituimmo a Milano e, per mantenere il contatto con i Minipolifonici di Trento, gli demmo lo stesso nome: “I Minipolifonici della città di Milano”.
(Peccato che Trento non accettò e non volle mai riconoscere Milano come un altro pezzo dei Minipolifonici. Proposi numerose occasioni per coinvolgere le due realtà in manifestazioni, concerti, incontri; proposi addirittura di realizzare un “sito” assieme, non solo! proposi di avviare un’attività editoriale per la pubblicazione dei libri di didattica musicale infantile da Eleonora e da me realizzati... nulla!). 
Chiamo in causa ancora la Provvidenza, si, perché ancora lei “provvide” a metterci nelle condizioni di iniziare la storia dei Minipolifonici di Milano alla grande con un importantissimo concerto previsto in dicembre di quell’anno che fu poi trasmesso in eurovisione il giorno di Natale.
Ci mettemmo, quindi, immediatamente al lavoro per allestire il programma richi
estoci.
Nel coro avevo cantori che con me, in Scala avevano preparato Il Parsifal, Pagliacci, Tosca, Boheme, La Mass di Bernstein, Attila, Boris, Pollicino di Henze, Dama di picche... poi, Britten: la Missa brevis e Cermony of Carols, I mottetti di Mendelsohn, Monteverdi..., i Vespri di Michael Haydn, inoltre impegnai l’amico e ottimo musicista Riccardo Giavina che realizzò per il coro due bellissimi lavori: “Da nord a Sud” (raccolta di canti popolari italiani a quattro voci), Araund the word (melodie tradizionali da tutto il mondo sempre a quattro voci), brillantemente eseguiti dai bambini.Non posso licenziare questo importante capitolo riferito alla Scala senza un aneddoto curioso.
Dunque era un 7 dicembre (S. Ambrogio), data importantissima per i milanesi: festa del Santo patrono della città che segna l'inizio della stagione concertistica del Teatro alla Scala. Quel giorno era in programma il Parsifal. I bambini erano impegnati in vari interventi nel corso dell'Opera, per cui io, fra un tempo e l'altro ebbi l'opportunità di uscire e mangiarmi una pizza vicino al Teatro. Indossavo il soprabito blu e sotto avevo lo smoking perché al termine della recita sarei uscito, con Muti, e tutto lo staff per gli applausi. Dopo di me, in pizzeria, entrarono alcuni signori anche loro vestiti in abito da sera; mi guardarono, li guardai e loro, quasi con atteggiamento di complicità mi chiesero: "Anche lei è qui per il Parsifal, eh?" .  Mariti costretti a "esserci" alla Prima!.
Ritorno ai nostri cantori.
Disponevo di ragazzi abituati al palcoscenico, all’impegno e anche alla fatica
Fu comunque un’impresa non facile, anche perché fra quei cinquanta bambini, oltre ai miei allievi, c’erano bambini che pur provenienti dalla Scala erano ancora piccoli e noi comunque non volemmo escluderli dalla manifestazione.
Il repertorio, tutto natalizio, comprendeva brani in varie lingue: latino, tedesco, francese, italiano, inglese, un po’ troppo per i più piccini. Una sera, in una pausa delle prove, una bambina (ricordo ancora il nome: Laura), chiese a mia moglie: “Leo, oggi, cantiamo quella in dialetto?”... per dialetto intendeva Adeste fideles, in latino. Cara!
I Minipolifonici della città di Milano esordirono quella mattina di Natale e fu il primo di successivi altri grandi appuntamenti con la musica e con l’arte. La prima sede fu in via Zuretti, un seminterrato che a noi pareva una reggia, anche perché dedicammo ore, giorni a renderla accogliente punto di convergenza e comune interesse.
La Leo disegnò i mobili, i banchi, i tavoli per le lezioni di lettura, le panche per le lezioni di coro che facemmo poi realizzare presso una falegnameria.
In Scala avevo conosciuto la signora: Anna Luè che faceva l’assistente ai miei cantori. quando istituii il coro dei Mini di Milano le chiesi di continuare a collaborare con me. Era molto brava, energica, telefonava ai cantori per ricordare gli impegni e anche per telef
ono tirava le orecchie a coloro che tardavano o “marinavano” qualche prova. Accompagnò il coro in tutti i viaggi e la ricordo con la borsetta quasi come quella di Mary Poppins dalla quale usciva tutto ciò che in quella specifica occasione fosse stato necessario.
Ebbi, per qualche anno, anche un ottimo collaboratore: il Maestro Bruno Gini, anch’egli molto amato e apprezzato dai bambini che lo avevano come insegnante.
Con lo scorrere del tempo anche qui si presentò il problema dell’abbandono per raggiunti limiti di età e la necessità di raccogliere nuovi cantori. Visitammo scuole pubbliche e private, facemmo audizioni e, un po’ come andare a cogliere fiori, si tornava a casa con nuove anche se timide adesioni.
Fra tutti desidero ricordare Francesca Mette, sorella di Michele, la prima allieva dei Minipolifonici di Milano. Arrivò che era proprio piccolina, al punto che pensai ne fosse venuto solo un "pezzettino"; non ricordo se avesse quattro o cinque anni. Rimase nel coro  nove anni, quindi venne considerata la più "vecchia" meritandosi l'appellativo di “Eva” dei Mini di Milano.
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giovedì 6 novembre 2008

La storia dei Minipolifonici IX PARTE

(Leggi la I, la II, la III, la IV, la V, la VI, VII, VIII parte)
I Presidenti
A Trento, nei Minipolifonici, si succedettero sei Presidenti.
Dei primi due: Ivo Tartarotti e Stefano Kirchner, ho già raccontato.
Dopo la presidenza di Stefano, si rese disponibile il dott. Franco Odorizzi, genitore di Paola e Chiara. Fu una persona squisita, un ottimo Presidente, tra l’altro appassionato di musica e buon pianista, è con lui e il suo affettuoso aiuto che potemmo realizzare il Primo Concorso internazionale per direttori di coro. La sua presidenza coincise con i festeggiamenti per i vent’anni dei Minipolifonici: egli si adoperò con entusiasmo e in modo concreto a far sì che fossero gioiosamente e degnamente celebrati, provvedendo anche alla realizzazione di un bellissimo opuscolo.
In quegli anni, la Scuola di musica stava assumendo dimensioni impegnative sotto il profilo amministrativo. Gli allievi aumentavano, anche grazie all’ottimo lavoro dei loro insegnanti.
C’era però un problema che ogni tanto si presentava e mi preoccupava molto: non poter garantire agli allievi la continuità didattica - elemento fondamentale per il loro percorso formativo - a causa dell’esodo di insegnanti verso la scuola pubblica la quale assicurava loro un posto stabile. Era comprensibile dovesse accadere così, prima o poi, (nel mio cuore, pur con terrore e rammarico, glie lo auguravo), avevano il diritto-dovere di preoccuparsi del loro futuro.
Mi venne la “pazza idea” di prendere in analisi l’opportunità di assumere gli insegnanti della Scuola: solo così, infatti, avrei potuto competere con altri “allettamenti”.
Ne parlai con Franco... capii subito che la proposta lo terrorizzava. Ricordo quante ore dedicò e dedicammo, anche assieme al compianto carissimo cantore avvocato Enrico Mezzena, a fare conti, calcoli, previsioni! Io percepivo il loro timore, e loro erano consapevoli di quanto ci tenessi a realizzare questo sogno. Pur essendo di pareri discordi, nei nostri incontri ci fu solo e sempre il massimo e reciproco rispetto.
Ancora oggi lo ricordo con immensa riconoscenza.
Capii che per questa mia pazza idea ci voleva un “folle”; lo trovai nella persona del dottor Sandro Ciola, un caro amico della mia adolescenza. Assunse l’incarico della Presidenza e... ci lanciammo nell’impresa! Ero felice! Era inoltre la prima scuola ad aver assunto a tempo indeterminato i propri insegnanti. 
Ancora una volta la Provvidenza “provvide” a darmi un’ulteriore mano: di lì a pochi mesi, infatti, la Provincia promulgò una legge con la quale riconobbe numerose Scuole musicali del Trentino, inserendole in un albo che dava diritto ad accedere a contributi annuali, a fruire di una sede, dettando regole precise fra le quali c’era l’obbligo di provvedere ad assumere i propri insegnanti. Noi eravamo già pronti e in regola per godere dei contributi.
Dopo la presidenza di Sandro Ciola riuscii a coinvolgere il dottor Giovanni Ondertoller.
Pure lui fu un Presidente illuminato e da bravo amministratore sistemò i conti della scuola, il bilancio dell’Associazione, prodigandosi a garantirle un positivo futuro finanziario.
C’è un aspetto che accomuna questi cinque Presidenti: tutti, compresi i consiglieri, svolsero il loro ruolo di amministrativi, tutelando gli interessi dell’Associazione, dei Cori, della Scuola e la loro immagine nei confronti delle Istituzioni, provvidero a fare in modo che la complessa macchina organizzativa funzionasse al meglio, ma nessuno di loro volle mai interferire nelle mie scelte musicali, artistiche, didattiche, nei miei rapporti con gli insegnanti, con gli allievi, con i genitori. Mi accordarono l’incondizionato rispetto, felici di essermi al fianco, preoccupati solo che questa realtà potesse esprimersi e operare attraverso la filosofia con la quale la stavo conducendo. Fra queste persone, anche se non fu Presidente, desidero ricordare l'amico Pompeo Viganò,  che mi fu sempre affettuosamente vicino; pur non sempre condividendo le mie scelte  le volle comunque rispettare e mai ostacolare. 
Nel 2002, quando dovetti lasciare l’Associazione, ai vertici c’era il dottor Carlo Alessandrini.

Il prossimo capitolo sarà dedicato ai Minipolifonici della città di Milano.
Anche questo è stato un bellissimo pezzo di vita.
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giovedì 23 ottobre 2008

La storia dei Minipolifonici VIII PARTE


Trento: la scuola di musica (II parte)
Nel 1984 mi sposai con Eleonora, (la Leo): un matrimonio indimenticabile anche per la dimostrazione di affetto unanime che i Minipolifonici profusero nell’organizzare questo nostro evento. Ricordo tanti, tanti bambini, ragazzi, giovani, che riempirono la chiesa in quello storico pomeriggio del 23 aprile 1984, di meravigliose musiche e canti, diretti alternativamente da alcuni componenti il coro misto. Autisti, servizio fotografico, filmato... tutto nelle loro mani... Accanto al regalo (un lettore CD che per allora era una novità) una bellissima poesia scritta da Bruno Banal...
Il mio trasferimento a Bolzano per lavoro e la mia nuova residenza creò, ai numerosi frequentatori di “casa Conci”, una situazione di disagio perché improvvisamente venne a mancare quell’ormai storico, quotidiano punto di riferimento. La mia presenza nella scuola e alle prove era comunque sempre garantita ma, nonostante i miei sforzi, non riuscii a colmare il vuoto del “tempo libero”. E’ stato un periodo sofferto per alcuni e anche per me, aggravato da incomprensioni reciproche, frizioni e contrasti dolorosi, che tutti, io per primo, abbiamo maldestramente gestito.
A quel tempo il Presidente era Stefano Kirchner: sempre pronto a realizzare qualunque idea gli proponessi, un bulldozer in grado di frantumare qualunque ostacolo che si fosse parato davanti. E’ assieme a lui che iniziai l’avventura della Scuola di musica e la sua presenza fu preziosa, insostituibile, fu un continuo succedersi di bellissime iniziative, sue, mie, a volte azzardate ma capaci di coinvolgere tutti. Un sincero amico cui debbo moltissimo e una parte dei Minipolifonici porta anche la sua firma.
I cori continuavano nel loro splendido viaggio, ancora concerti: Carmina Burana, Messa di Dvoràk, Lieder di Brahms, Bohéme, Il Barbiere, Lucia di Lammermoor, Requiem di Fauré, Vespri di M. Haydn, Messe di Mozart, Canti della tradizione popolare trentina, come già ebbi modo di scrivere: la Messa in si minore di Bach, e poi ancora concorsi, soggiorni estivi, il tutto alternato da traslochi in varie sedi e succedersi di nuovi Presidenti.
In seguito alle affermazioni e i riconoscimenti del coro dei Minipolifonici venni chiamato in Italia, in Francia, in Belgio, in Ungheria a tenere corsi per direttori di coro e a far parte di giurie nazionali e internazionali. Mi fu proposta pure la direzione del coro della Cappella Marciana di Venezia: coro della basilica di S. Marco, cattedra ambitissima, sul cui “scranno” sedettero musicisti come Monteverdi, Adriano Willaert e altri dello stesso spessore. Siro Cisillino, famoso musicologo veneziano, insistette moltissimo affinché accettassi l’incarico; rifiutai, perché esso avrebbe comportato il mio totale trasferimento a Venezia e il conseguente inevitabile abbandono dei miei Minipolifonici.
La Scuola di musica, intanto, proseguiva il suo percorso; gli alunni progredivano coadiuvati dall'impegno ed entusiasmo dei giovani insegnanti; particolare attenzione rivolsi  alla loro formazione, cercando di trasmettergli la gioia e la poesia dell’insegnamento, suggerendo di dare sempre priorità all’esclusivo interesse dell’allievo - soggetto in continua evoluzione - di non chiedere da lui ciò che avrebbe dovuto fare ma di essere attenti a ciò che lo stesso fosse stato in grado di fare, esaltando costantemente i suoi eventuali progressi. Pure i metodi didattici: “ Musica per me” e “Canto le note” che assieme a mia moglie Eleonora elaborammo, frutto di tantissimi anni di insegnamento, furono dedicati e pensati - quasi visualizzandoli uno ad uno - agli allievi della Scuola. Essi sono universalmente riconosciuti come il metodo dei Minipolifonici.  I primi tempi il concerto di fine anno durava tantissimo ed era caratterizzato da una passerella di giovani allievi che si esibivano uno dopo l'altro proponendo il loro pezzettino. Gradualmente riuscimmo, e fummo i primi, a tramutare questo appuntamento in una festa di musica proposta dagli allievi (anche i più piccoli) che suonavano in duo, trio, e in variegati gruppi. Un momento di gioia per me, ma sono sicuro per tutti, era  quando sul palcoscenico del teatro salivano i bambini piccoli (quattro- cinque anni), i bambini dei vari cori della Disciplina corale e sentirli cantare era veramente entusiasmante.
Nacquero altre nuove innovazioni didattiche; merita che le citi anche perché uniche e pensate per i bambini della mia Scuola.
Alcune di queste, più tardi, vennero prese dalla Provincia di Trento e fatte proprie nell’Ordinamento didattico delle Scuole musicali trentine iscritte all’albo (se la stessa mi avesse usato la cortesia di interpellarmi, anziché pagare una persona da fuori per suggerire “farine di altri sacchi”, mi sarei reso disponibile ad “offrirle personalmente” corredandole, inoltre, di quelle indispensabili informazioni per una più corretta, consapevole e proficua applicazione). Alla “Disciplina corale” e al “Giro degli strumenti”, di cui ho già scritto, aggiunsi la “Preparazione all’orchestra”, “In orchestra per diletto”, diedi volentieri vita al “Gruppo strumentale giovanile” su dolce e insistente richiesta del vicepresidente Fernando Guarino, successivamente istituii il “Gruppo giovanile di fiati” affidandolo a Michele Cont (ottimo didatta), inoltre: “Dai bambini la musica per i bambini”, “I concerti per gli allievi”
Nel frattempo altre scuole musicali italiane vollero prendere a modello la mia didattica: l’Istituto musicale di Crema che diressi per quattro anni, I Piccoli Musici di Casazza, Zogno in val Seriana, Milano, Bergamo, Salorno (scuola voluta dal direttore didattico dott. Ivan Eccli, avviata e diretta per diversi anni da Eleonora Dalbosco). Ideai, allora, “Insieme per suonare”: tre incontri itineranti, nei quali si trovarono a suonare, cantare e proporre le loro espressioni musicali tantissimi bambini, ragazzi delle diverse scuole accomunati dall’identica gioia di “fare musica” e dalla stessa filosofia didattica.
Molte altre scuole in Italia si aggiunsero e continuano tuttora a seguire il metodo nella sua completezza, perché l’hanno compreso, ci credono e sono convinti della sua validità: in Trentino: Cles, Tesero, Arco, e poi in Liguria, Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto, Umbria, Marche, Calabria, Sicilia...
I miei impegni fuori sede comportarono un inevitabile ridimensionamento della mia presenza nella Scuola di Trento. Ero comunque abbastanza tranquillo perché la ritenevo una Scuola ormai avviata e in grado di camminare anche senza la mia costante presenza. Individuai in Stefano Chesini il mio “supplente”: giovane e ottimo insegnante di flauto ma soprattutto “didatta”. La differenza nei termini, per me è sostanziale: l’insegnante mette l’allievo al sevizio della conoscenza, il didatta mette la conoscenza al servizio dell’allievo. Non sono i diagrammi colorati di rosso, verde, giallo, per distinguere gli orari delle lezioni che consacrano il direttore di una scuola, (per quello è sufficiente un segretario), e neppure la capacità di stilare domande, curare la contabilità e quant’altro, (per questo basta un segretario amministrativo), ma la capacità di comprendere il linguaggio della didattica, la capacità di dialogare con gli insegnanti, con gli allievi, con i genitori e l’attenzione a salvaguardare soprattutto la filosofia della scuola stessa, questo è l’insostituibile compito del Direttore. Stefano Chesini svolse il suo ruolo con entusiasmo e già sognavo che un giorno avrebbe potuto assumere l’incarico definitivamente, mentre io mi sarei messo tranquillo “alla finestra”. A quel tempo, però, non ero ancora in grado di assicurargli un posto fisso per cui lo Stato se lo prese dandogli il ruolo nella scuola media. Lo ricorderò sempre non solo con affetto ma anche con stima e riconoscenza per tutti quegli allievi ai quali trasmise la gioia di studiare, di suonare, di “fare musica” con lui. Dovetti rinunciare a uno dei miei migliori insegnanti. Diresse pure il “Gruppo strumentale giovanile” della Scuola e anche lì si fece apprezzare e amare. Grazie, Stefano!
Questo gruppo, come il Gruppo giovanile di fiati (ragazzini fra gli  undici e i sedici anni), furono protagonisti di numerosissime e apprezzate esecuzioni musicali nella loro città e fuori.
L'ottima riuscita di queste due realtà è da attribuire anche al costante  impegno e ammirevole dedizione dei giovani musicisti.  Anche loro hanno contribuito non poco a scrivere un meraviglioso pezzo della storia dei Mini. Alcuni di loro ho avuto l'emozione di dirigerli. 
MA NON TUTTE LE STORIE HANNO UN LIETO FINE...
Nel 1999 il Consiglio di amministrazione nominò un altro supplente ed io rimasi alla guida della Scuola soprattutto per quanto riguardava il rapporto con gli insegnanti e la cura della didattica.
La distanza fisica non mi ha mai impedito di continuare a lavorare e pensare alla Scuola, è proprio in quest’ultimo periodo che promossi ancora nuove iniziative. Oltre a “Insieme per suonare”, fra il 2000 e il 2002 ideai “Lezioni concerto”, “ Al Music bar”, “Perché ci piace cantare”, “Storia di un ritardo annunciato”, “Musica in concorso”, redassi un articolato Ordinamento didattico, prospettando due specifici indirizzi: quello amatoriale, e quello professionale; avviai il “Coro di voci bianche della scuola” e volli che due insegnanti presenziassero alle mie lezioni nella speranza che imparassero per poi proseguire da soli...

Quando, però, in un’ Associazione, nata per esaltare nelle coscienze, nei cuori dei bambini e dei ragazzi il valore della musica, si inseriscono politica e politicanti ecco che l’essere, l’esistere si trasforma in apparire e tutto cambia: l’allievo non è più il “soggetto” destinatario di attenzione, ma diventa “oggetto”, numero da aggiungere freneticamente al conto per dare “spettacolo”, ottenere facili “consensi”. La spasmodica ricerca di ingrandirsi, di espandersi in ogni anfratto del territorio fece precipitare l’Istituzione in una pericolosa, drammatica equazione: più allievi, più insegnanti, più sedi, più esibizioni = più esposizione = più contributi i quali richiedono ancora più allievi, che richiedono più soldi, più..., più..., più..., un vortice incontrollabile. Da una “grande scuola” stava trasformandosi in una “scuola grande”, a me il numero di quasi cinquecento allievi cui già era arrivata appariva esageratamente e presuntuosamente troppo. Assistevo con preoccupazione e impotenza alla perdita della genuinità, alla perdita del fine didattico cosicché l’arte del proporre un percorso di crescita ad esclusivo vantaggio dell’allievo regrediva desolatamente. Così stava avviandosi la mia Scuola e contro questo modo di concepirla, io, il fondatore, il direttore mi trovai solo, l’unico a lottare, caparbiamente, con forza a volte estrema, accorata. La botta finale fu quando proposi una persona di mia fiducia nella successione alla direzione della scuola: era mia convinzione che tale persona dovesse avere determinati requisiti, non certo manageriali, altre erano le garanzie a cui davo priorità.
Annunciai al Consiglio la mia intenzione di lasciare la direzione e indicai Chiara Biondani quale mio successore (diplomata in canto, Direttrice e Presidente della Scuola musicale C. Eccher di Cles, una fra le prime voci bianche del primissimo coro, e già insegnante nella mia Scuola). Risultato? “Nicola Conci è un pericolo per i Minipolifonici”: questo era quello che i vertici dell’associazione seppero instillare con maestria. 
Ricordo l’ultimo concerto di fine anno scolastico, i recenti accadimenti mi fecero sentire straniero in quella realtà che fu per vent’anni un pezzo importante della mia vita. Dolore, senso di vuoto, rabbia contro tanti, contro tutti... no, gli allievi no, quella sera mi sembravano la cosa più pulita che ci fosse in teatro.
Al termine del concerto, un’ allieva mi chiese: “Conci, cantiamo -Dopo la pioggia-?” Non ce la feci proprio a sedermi al pianoforte e cantare tutti assieme...
Nel settembre del 2002 diedi le dimissioni da quella associazione.
Sono passati sei anni e continuo a pensare (ed è buffo): la scuola che porta il nome: I Minipolifoni non segue la didattica dei Minipolifonici (è come se la scuola Steineriana non seguisse il metodo del suo fondatore) mentre sempre di più in Italia scuole che non portano questo nome sono MINIPOLIFONICI. 
Con tristezza concludo: dal 2002 l’associazione I Minipolfionici di Trento non si rispecchia più nella didattica e nella filosofia dei Minipolifonici, per cui di qualunque attività realizzata non mi attribuisco né meriti né colpe.

Il prossimo capitolo sarà senz'alto di altro respiro...

lunedì 13 ottobre 2008

La storia dei Minipolifonici VII PARTE


(Leggi la I, la II, la III, la IV, la V, la VI parte)

La scuola di musica
Siamo negli anni ottanta, esattamente nel 1981.
A quel tempo le offerte di formazione musicale per bambini e giovani erano rare, andavano per la maggiore le lezioni private e le istituzioni musicali ufficiali erano rappresentate quasi esclusivamente dai Conservatori (scuole preposte alla preparazione di futuri musicisti).
Io non ho mai amato le lezioni private, specie se impartite ai bambini, le consideravo e le considero ancora, aride, finalizzate all’insegnamento di uno specifico, unico argomento: noiosi momenti di controllo settimanale sulla qualità dello studio, riducendo l’allievo a contenitore di regole, studi, esercizi.
Sempre di più mi ronzava in testa il desiderio di proporre un diverso modo di fare musica, dove al dovere dell’apprendimento si opponesse la gioia della scoperta, della conoscenza, dove l’allievo dovesse desiderare di "andare a musica", farsi ascoltare dal proprio maestro, verificare con lui i progressi raggiunti e soprattutto incontrare altri allievi con i quali suonare assieme, cantare assieme, subito, anche con le poche note appena imparate.
Ritenevo inoltre che la musica dovesse essere proposta non solo dai dieci anni in su, com'era in Conservatorio, ma fin dai primi anni.
Decisi allora di dar vita a una mia Scuola di Musica. Progetto ambizioso ma non presuntuoso. Sapevo ciò che avrei voluto fare, un po’ meno come avrei potuto farlo, quello che proprio non sapevo era dove; anche qui la Provvidenza ci mise lo zampino. Abitavo in viale Bolognini 28, una casa molto grande nella quale trascorsi più di trentacinque anni della mia vita: si sarebbe prestata per iniziare, anche perché non ci sarebbero stati problemi condominiali. Chiesi a Elena Bonini e Giuseppe Pedrini (il Beppe), con i quali abitavo, se fosse stato possibile ospitare nel pomeriggio un po...? di bambini per fare lezioni di musica. Accolsero la mia richiesta con generoso entusiasmo.
Voglio riservare uno spazio, anche se piccolo ma doveroso, a queste due persone: in pochissimo tempo (un paio di mesi) portai in casa una quarantina di bambini sistemati in tre stanze, così che dalle due alle sette, era un andirivieni di fanciulli e un intrecciarsi di canti e suoni; non hanno mai brontolato, si saranno anche beati dalle voci di questi bambini, ma lo scompiglio non era poco (quante volte Beppe è corso ad aprire la porta ad ogni squillo di campanello!)
La riconoscenza mia e dei Minipolifonici nei loro confronti è tanta e mai basterà.
Era nata la Scuola di musica dei Minipolifonici.
Iniziai subito con bambini di cinque, sei, sette, otto anni, età diverse e quindi con diversi programmi. La formazione musicale di base: “alfabetizzazione”, ebbe subito un ruolo, se non primario, quantomeno paritetico all’insegnamento dello strumento. “Perché?”, voi potreste chiedermi, “non ha lo stesso valore formativo?” Per me si, cari amici, ma, leggete questa curiosità: quando iniziai a insegnare “teoria, solfeggio e dettato musicale” al Liceo Pareggiato, prima, e al Conservatorio, dopo, la mia materia era considerata “complementare”, lo stipendio, inferiore rispetto a quello degli insegnanti di strumento, non ammetteva dubbi. L’insegnante di solfeggio, era come il personale “paramedico”, aveva il compito di preparare al meglio e prima possibile l’allievo all’"operazione” affidata poi al “chirurgo”. Tolsi questa cattiva abitudine.
Gli insegnanti erano ragazzi giovani, non ancora diplomati, alcuni cresciuti con me nelle voci bianche, altri allievi miei in Conservatorio ai quali feci improvvisare l’arte dell’insegnamento: Sonia Sartori, Annalia Nardelli, Francesco Serpetti, Marco Mazzeo, Emanuele Cavallini, Sonia Carli, Eleonora Dalbosco... Una ragazza del coro: la Beppa, faceva la segretaria. La risposta da parte dei genitori fu pronta e in breve tempo casa mia divenne insufficiente, per cui dovetti cercare una sede più spaziosa.
Uno fra i numerosi vantaggi che una scuola privata possiede è quello di potersi cucire addosso un proprio programma didattico, di poter sperimentare metodologie, introdurre discipline particolari, soprattutto prescindere dal modello del Conservatorio.
Col tempo elaborai, assieme a Eleonora (mia moglie), un metodo per la formazione musicale dei bambini dai tre ai tredici anni che divenne “La didattica dei Minipolifonici”.
Istituii lezioni collettive obbligatorie, prima fra tutte “Disciplina corale”.
Oggi, quando un genitore iscrive il proprio figlio a una scuola di musica, non trova strano che fra le materie currciulari, ci siano Lettura musicale e Disciplina corale.
Allora, non era così e farle accettare ai genitori, (anche a numerosi insegnanti), non è stato semplice.
Gli allievi continuavano ad aumentare, nel frattempo risolvemmo il problema della sede. Constatavo che, per lo strumento, la scelta cadeva soprattutto sul pianoforte e sulla chitarra, pochissimo o niente per gli altri. Non riuscivo a spiegarmi il perché di queste scelte univoche, e flauto? violino? violoncello? Dedussi che il motivo fosse da ricercare nell’assenza di una adeguata informazione. Ideai il “Giro degli strumenti”.
Con questa nuova proposta didattica (a quel tempo prima e unica in Italia), al bambino, nell’arco di un anno, viene data la possibilità di ricevere alternativamente, quattro lezioni al mese di uno degli strumenti presenti nella scuola; occasione importante per l’allievo stesso il quale ha l’opportunità di vedere, toccare, provare e provarsi a suonare diversi strumenti, poi, con l’aiuto dell’insegnante, operare una scelta più consapevole, che lo porterà ad accostarsi allo strumento a lui più idoneo. Soluzione che col tempo si rivelò geniale.
Assistetti infatti, a un graduale e radicale cambiamento, trovandomi con classi molto più equilibrate che mi permisero di inserire pure altri strumenti. 
Un piccolo ma doveroso spazio voglio dedicarlo anche a quelle persone, non insegnanti, che nella conduzione di una scuola rappresentano un importante cardine; mi riferisco alle segretarie. Nel percorso della Scuola si sono succedute cinque “vestali”, eccole: La cara Beppa, corista-segretaria, coraggiosa e appassionata pioniera dei nostri primi anni. Nadia: giovanissima, appena uscita dal corso, s’è messa a lavorare, con impegno ed entusiasmo. Orietta: gioviale, disponibile, duttile, capì presto il sistema e svolse il suo lavoro con grande professionalità. Daniela: bella voce del coro misto, precisa, puntuale, sicura; un posto, più adatto alla sua preparazione, la fece scappare... Barbara: mi dispiace  averla immeritatamente sottovalutata perché anche lei profuse nella Scuola grande entusiasmo e professionalità;  non dimenticherò mai, inoltre, che in un momento doloroso, devastante della mia vita nei Minipolifonici, fu l’unica in quel contesto e in quel “gruppo” ad essermi vicina, a manifestarmi la sua grande umanità e il suo rispettoso affetto. Grazie, Barbara.
Diressi questa mia Scuola per vent’anni, facendone una "Grande Scuola".
Un po’ alla volta racconterò di Essa, mi racconterò, racconterò dei meravigliosi momenti vissuti assieme agli allievi, dei concerti all’Auditorium dove al termine centinaia di bambini, ragazzi, giovani, il Coro misto e anche gli insegnanti, salivano sul palco per cantare tutti assieme “Dopo la pioggia viene il sereno...” Era un auspicio, un presagio?...

domenica 5 ottobre 2008

La storia dei Minipolifonici VI PARTE


(Leggi la I, la II, la III, la IV, la V parte)

Fra il 1980 e il1981, l’istituzione “Coro” si trasformò in “Associazione Culturale I Minipolifonici”; avevo numerosi progetti e così strutturata mi avrebbe garantito una maggiore funzionalità organizzativa e gestionale.
Intanto il Coro misto aveva raggiunto un livello considerevole, già scrissi della costituzione del Coro maschile, (era bellissimo cantare con i miei ragazzi!), la “par condicio” mi suggerì di istituire anche il Coro femminile, poi, non pago, arrivò pure il Gruppo madrigalistico. Arezzo e Gorizia videro tutte queste formazioni nei primissimi posti della classifica.
Concerti? Il numero è incontrollabile, inoltre: partecipazioni a rassegne nazionali, internazionali, collaborazioni con orchestre sinfoniche e liriche.
Con il continuo inserimento nel Coro misto delle ex voci bianche sorse un problema, anzi, due: il coro rischiava di “intasarsi” per il numero eccessivo di nuovi cantori, sia ragazzi che ragazze, difficile da gestire, poi c’era da considerare la giovanissima età dei nuovi arrivi (quindici, sedici, diciassette anni), per i quali era necessaria una particolare attenzione, specie per i ragazzi maschi, la cui voce non era del tutto formata, inoltre dovevo tenere conto, nella scelta del repertorio, delle musiche più adatte ai cantori stessi.
Diedi vita, quindi, al “Coro dei Giovani” ospitando ragazzi che avrebbero cantato fino al raggiungimento dei diciotto anni; una splendida “ciurma” di adolescenti ricchi di solide esperienze corali e musicali. Un percorso corale che diede a tutti noi preziose emozioni umane e artistiche.
Ed ora desidero raccontare qualche avvenimento significativo nella vita del Coro misto.

Nel 1988 ideai il “Premio internazionale per direttori di coro”: un concorso unico a quel tempo, perlomeno in Italia. Per l’occasione commissionai al M° Luciano Berio una composizione: "Canticum novissimi testamentum", a sedici voci che costituiva il brano d’obbligo per la prova di musica contemporanea.
Il programma del concorso era vario e articolato in più fasi: ammissione, eliminatoria, finale.
Il repertorio, assai vasto, comprendeva il periodo della polifonia classica, della musica romantica, sinfonico-corale e contemporanea.
Avevo bisogno di due formazioni corali: i Minipolifonici avrebbero curato la polifonia rinascimentale e la musica contemporanea, il secondo coro il repertorio romantico; per il repertorio sinfonico-corale sarebbero stati impegnati entrambi i cori. Un numero di brani considerevole, da permettere al coro di dotarsi di due programmi da concerto. Da non trascurare l’occasione di cantare sotto la direzione di diversi direttori, molti dei quali di altissimo livello.
Mi sembrò bello offrire ai numerosi cori classici della mia Provincia l’opportunità di prendere parte a questa iniziativa e chiesi alla Federazione Cori del Trentino la disponibilità a farsi promotrice.
Alla fine dovetti darmi da fare personalmente chiedendo ai vari direttori la loro disponibilità; la risposta più illuminante che ricevetti e anche l’unica fu la seguente: “Maestro, questa l’è n’occasion per portar via le vozi migliori ai altri cori; se no ’l g’ha i cantori sufficienti ‘l se meta el cor en paze, che ‘l concorso no ’l riuscirà a farlo”.
Che peccato!
Naturalmente non mi persi d’animo, convinto nella validità della mia iniziativa chiesi all’amico Maestro Piergiorgio Righele, direttore del coro di Malo, la disponibilità sua e del suo coro a collaborare con noi ed egli accettò, ringraziandomi per l’occasione datagli.
Il concorso fu un successo, vennero concorrenti da ogni parte del mondo. Il primo premio fu vinto da un concorrente ungherese.
All’esecuzione del brano contemporaneo assistettero il M° Berio e l’autore del testo Edoardo Sanguineti che si complimentarono con il coro per l’ottima esecuzione del brano e con i Minipolifonici per l’ottima iniziativa. Comunque, nessun cantore del coro di Malo venne carpito dai Minipolifonici.

Nel 1960, ero un ragazzotto, ebbi l’occasione di assistere nel duomo di Trento all’esecuzione della Messa in si minore di Bach. Rimasi sconvolto, commosso, affascinato dalla bellezza di quella musica, del coro, dell’orchestra.
Proposi a me stesso che un giorno o l’altro, l’avrei eseguita.
Ci vollero quarant’anni ma finalmente mi si presentò l’occasione: il direttore artistico dell’orchestra Haydn di Bolzano e Trento mi chiese di preparare il coro per l’esecuzione di quella splendida Messa. “Sommo giubilo!” Il gran momento era finalmente arrivato.
Era necessario un organico di almeno settanta elementi; io non li avevo... allora... errare humanum est, perseverare... chiesi ancora ai vari direttori trentini, chissà! forse il nome di Bach e la sua musica li avrebbero ammaliati?
Risposero entusiaste e subito solo diverse coriste del coro Sociale di Pressano del M° Giuseppe Niccolini, che per altro avevano generosamente collaborato anche in altre occasioni e alcuni cantori che aderirono di loro iniziativa. Che dire a Bach?... “Bah!”
Comunque, nessun cantore che collaborò con noi venne carpito dai Minipolifonici.

Un giorno mi accadde di ricevere la telefonata del direttore del coro di un notissimo teatro italiano, era disperato perché avrebbe dovuto preparare dei brani di musica contemporanea risultati vincitori ad un concorso e la data dell’esecuzione era imminente.
Il coro di quel teatro... non aveva tempo... e conoscendo me e la qualità dei Minipolifonici, mi chiese se fossi stato disposto a prepararli io con il mio coro. Mi riservai di accettare dopo aver visionato i brani. Li lessi... (Gulp!)...  parlai ai miei cantori, avevamo solo una decina di giorni... decidemmo di accettare: entusiasmo giovanile, un pizzico di pazzia (anche più di un pizzico), comunque da parte mia ero sicuro dell’assoluta padronanza nella lettura musicale dei cantori; l’esecuzione riuscì e fummo tutti soddisfatti. Una curiosità: la sera del concerto (programma solo di musica contemporanea), il teatro era gremito di curiosi, intenditori, ignari spettatori e... di un centinaio di giovani militari di leva rigorosamente in divisa. Secondo voi - noi ce lo siamo chiesto - son capitati lì per sbaglio o facevano parte di un gruppo mandato lì in punizione? Le facce e lo sconcerto dei malcapitati militari ci tolse ogni dubbio: la classica punizione di “ramazza” al confronto, avrebbe avuto il sapore di una “licenza premio”.

lunedì 29 settembre 2008

La storia dei Minipolifonici V PARTE

(Leggi la I, la II, la III, la IV parte)

Le voci bianche proseguirono con un crescendo il loro cammino di esperienze musicali, corali, attraverso molteplici attività: concerti in ogni parte d’Italia, in Francia, in Svizz
era, in Austria, in Germania, in Grecia, collaborazioni con orchestre sinfoniche e da camera, coprendo anche ruoli che nelle varie opere liriche venivano affidati ai bambini; partecipazione a corsi in qualità di “coro laboratorio”, lezioni concerto, il tutto scandito annualmente da soggiorni estivi di studio e svago.
Il coro misto perseguì un suo grandissimo percorso di cui parlerò più avanti.
Questo capitolo, invece, desidero dedicarlo agli “angeli muti”, non cantori, quindi, ma persone che nella vita dei “Mini” scrissero pagine stupende, storiche.
Mi riferisco a quelle preziose persone (genitori soprattutto), che ogni anno, alcune per molti anni, mi assicurarono l’organizzazione dei pasti durante i vari soggiorni estivi, e accompagnarono il coro in occasioni di viaggi per concerti o concorsi, altre che sentii fortemente vicine, pronte a soccorrerci, assisterci nelle varie vicende del coro.Non immaginate quanto sia bello, confortante e quanto la nostalgia si tramuti in carezzevole sensazione ricordare quelle splendide persone e quegli splendidi momenti.
Per quindici giorni, in sperduti paesini, in strutture organizzate, in case dove ci si doveva adattare alla meglio, ci venivano preparati pasti, sempre ottimi, vari, puntuali, e serviti con il sorriso, con il genuino entusiasmo delle persone generose, fedeli, riconoscenti, felici di contribuire a rendere sereno, tranquillo il mio lavoro e quello dei miei numerosi collaboratori.
“ I nomi, vogliamo i nomi! ”
Eccoli, dunque: I Coniugi Gianotti li abbiamo già ricordati nei precedenti capitoli, con loro ricordo i Coniugi Faes, genitori di Maria, Enrico e Giovanna, pionieri e affettuosi sostenitori dei primi anni del coro: Sella Valsugana! Camparta! che pranzi! che patate al forno! quanta disponibilità nel loro cuore!
Ricordo la signora Pegoretti, mamma di Anna, affettuosa e vulcanica.
Altre presenze scandirono provvidenzialmente il percorso del coro; erano genitori che a latere, silenziosamente, e con tanta tenerezza sentivo assai vicini, anch’essi sempre pronti a “soccorrermi” nelle necessità, in modi e forme apparentemente marginali ma assai significative per la mia tranquillità.
Impossibile non ricordare i carissimi Bruna e Nino Brucoli, genitori di Roberta, che con rispettosa discrezione seguivano il coro con i loro mezzi in tutti i concorsi, in tantissimi concerti.
C’erano loro e noi vincevamo il concorso, c’erano loro ed il concerto riusciva magnificamente, al punto che, oramai abituati e quasi bisognosi della loro presenza, li considerammo i nostri “portafortuna ufficiali”.
Irene e Plinio Biondani, genitori di Chiara, affettuosi sostenitori dei Minipolifonici; Plinio, poi, quante volte, essendo taxista, mise a disposizione il suo tempo, il proprio mezzo per accompagnare i cantori quando necessitava un aiuto! la sua signora, Irene, mi accolse spesso a casa sua proponendomi prelibati pranzi e cene che i miei succhi gastrici ancora oggi ricordano con dolce nostalgia.
Gradualmente cambiavano le generazioni e con loro cambiavano pure i genitori e nuovi sostenitori delle numerose nostre iniziative.
I signori Remo e Liliana Sartori, genitori di Sonia, Luca e Nicoletta avevano un negozio di frutta e verdura; per diversi anni ci siamo serviti da loro ma credo sia stato più quello che ci hanno regalato di quello che abbiamo comperato. Dieci chili di patate diventavano per incanto quindici, allo stesso prezzo, altre volte si dimenticavano, o così ci han fatto credere, di segnare qualche chilo di frutta, di insalata e così via. In pratica, non ci siamo serviti da loro ma ci siamo serviti di loro. Li ricordo con tanta riconoscenza.
Un bel giorno, (stavo trattando l’acquisto di un’automobile presso una concessionaria), mi si presentò un signore: Rinaldo Dorigoni che mi assistette e consigliò nell’acquisto. Mi conosceva, conosceva l’attività dei Minipolifonici e timidamente mi chiese se fossi disposto ad accogliere nel coro i suoi tre figli: Roberta, Carlo e Giorgio. Dissi di si con gioia e da quel giorno iniziò una lunga, intensa, magica collaborazione con lui e con la sua cara moglie Teresa.
C’era un soggiorno e loro erano pronti a organizzare il vettovagliamento.
Colazioni, pranzi, merende, cene; quante buone cose!, quante risate, quante gioiose discussioni per riuscire a far spendere al coro il meno possibile e garantire pasti sufficienti e gustosi!
Rinaldo, poi, era veramente unico, genuino, emozionabile, sensibile, coinvolto non solo in cucina; cercò pure di collaborare nelle attività ludiche dei vari soggiorni.
Qui è d’obbligo un suo simpaticissimo aneddoto.Dunque, in uno dei numerosi soggiorni nei quali fu presente, successe che, c’era da cronometrare l’arrivo dei vari concorrenti in una corsa campestre; uno era incaricato a controllare il tempo del primo, un altro doveva controllare il tempo del secondo, Rinaldo aveva il compito di controllare il tempo del terzo classificato: Fra i concorrenti c’era pure uno dei suoi figli (è fantastico quanto successe), il quale arrivò per primo. Rinaldo, dall’emozione, fermò il suo cronometro sul tempo di suo figlio, urlando: “ Primo!... primo!..Terersa...  me fiol’ l’è ariva’ primo.. madonega!... che tempo!...” L’accaduto gli fece dimenticare di cronometrare l’arrivo del terzo che dovette accontentarsi di un tempo approssimativo recuperato da qualcuno. Fortuna volle che il quarto arrivò un po’ dopo e il dramma venne scongiurato.
Conclusasi le bella parentesi dei “Dorigoni” - così ormai erano affettuosamente chiamati da tutti noi -, la Provvidenza ci mise a disposizione altre persone amiche, così che la gestione dei soggiorni, nella cura in cucina, venne sempre assicurata.
Ed ecco allora proporsi la famiglia Grosselli: Maria Teresa e Lucillo, genitori di Andrea, Lorenzo e Maria Letizia.
La cucina, in quei giorni, diventava il loro regno, dal quale uscivano puntualmente prelibati “decreti culinari” cui tutti noi ci si adeguava volentieri.
Con i Minipolifonici di Trento, prima e con quelli di Milano, poi, potemmo disporre del loro insostituibile aiuto: affettuosamente perentoreo quello di Maria Teresa, silenzioso ma sempre appropriato quello di Lucillo; Maria letizia, anche lei nel coro, accettò volentieri e spesso di aiutarci un po’ in cucina e un po’ assistendo i cantori.
(Vai alla VI parte)

La storia dei Minipolifonici IV PARTE


(Leggi la I, la II, la III parte)
Entra in scena il Coro misto
Non voglio dilungarmi troppo nel raccontarvi la nostra storia ma al tempo stesso non voglio correre il pericolo di trascurare eventi storici legati soprattutto a ciò che per molti anni caratterizzò la componente umana dei Minipolifonici, ma volare leggero nel cielo dei ricordi, dove è più facile capire meglio molte cose; allora, tutto ciò che insieme si è fatto assume un significato magico, gli avvenimenti, tutti, anche quelli non previsti, accaddero e investirono, riempiendolo dei più svariati sentimenti, il nostro cuore. Ci beammo degli affetti, ci esaltammo dei trionfi, soffrimmo nei contrasti e giorno dopo giorno contribuimmo tutti a scrivere un pezzetto di questa nostra storia.
Con l’autunno del 1972 prese il via l’attività del Coro misto.
Volete i nomi? Ci provo, spero di non fare troppe, anche se involontarie, omissioni.
Teresa e Mario, naturalmente, poi Luisa, Daniela e Annamaria, (le tre sorelle Demattè), Serena, Maria, un’altra Annamaria, Donata, Daniela, Enrico, Gabriella (la Lella), Vincenzo, Guido, Guglielmo (Googa), Roberto, Matteo, Ettore, Ugo, Maurizio, Massimo, cui si aggiunsero quasi subito Franco, Gabriele, Stefano, Marco, Gabriele (il Bebe)...
Per un po’ fummo ospiti nei locali concessi alle voci bianche, poco dopo, soprattutto in considerazione degli orari serali delle prove, ci trasferimmo a casa mia.
Breve periodo, per poi trovare affettuosa e generosa ospitalità in casa Stelzer, genitori di Gabriele, Franco e Giuliano.Tante prove, tante partiture, tante fotocopie, e quelle chi ce le procurò? il dottor Mario Stelzer, il padrone di casa; è stata per noi una Provvidenza.
Diversi, fra quei cantori non avevano mai cantato, non essendo stati nelle voci bianche e per loro cantare “suonava” tutto nuovo.
Venne a costituirsi un gruppo di amici: giovani (mi ci metto anch’io, avevo trentadue anni) e ragazzi, che si tramutò in una “forza”.
Casa mia era diventata un luogo di quotidiana convergenza, a tutte le ore, dopo le prove, i sabati, le domeniche, e lì presero vita, concretizzandosi, innumerevoli iniziative corali e non.
La parola più frequente era: “Vado dal Conci”.
Con questo nuovo coro, nel 1974, rischiammo pure un concorso a Tosculano Maderno.
Prima di farvi sapere come andò, non me ne voglia Stefano, desidero narrarvi un aneddoto, buffo a lui riferito.
(Certo che a ripensarci ora, considero che fossimo un bel po’ sprovveduti, incoscienti, anche se felicemente spensierati).
La sera prima di partire concordammo l’orario di raduno davanti al pullman (le solite cose che fanno parte di tutti i viaggi in comitiva).
La mattina, bene o male, all’ora giusta c’erano tutti... no, mancava uno: Stefano. Strano! aspettammo ancora un po’ (allora non c’erano i cellulari). Superato il tempo massimo, decidemmo di partire, anche perché il concorso si svolgeva tutto in una giornata: mattina eliminazioni, pomeriggio concorso.
Potete immaginarlo, ero fra il preoccupato e l’arrabbiato.
Arrivammo a Tosculano in tempo per le eliminatorie e Stefano non c’era.
Pranzammo, o stavamo pranzando, non ricordo, che arrivò Stefano, sudato, imbarazzato (“beh, perlomeno è arrivato” mi dissi). Cos’era successo? Fantastico!: Stefano si alza la mattina, tranquillamente, come sempre, in bagno, davanti allo specchio, si rade fischiettando le note de “Il bianco e dolce cigno”, brano preparato per il concorso, naturalmente fischiettava la sua parte, quella del tenore: Il bianco e dolce cigno cantan...! improvvisamente si ricorda... “Il concorso!”... “Ca...pperi” “P... dirindindina!” Mamma mia... “C...orbezzoli!” e via tutte le imprecazioni del repertorio di un ragazzo ventenne.
Ora l’accorcio: non si perse d’animo, rassegnato a dover ormai saltare l’eliminatoria, dette per scontato che saremmo stati ammessi in finale (che caro!), fece di tutto per arrivare in tempo: prese la bicicletta, constatò che con quella non sarebbe mai arrivato, fece autostop e dopo quattro, cinque ore di viaggio si presentò al suo coro. L’avrei pestato...no, abbracciato!
Partecipò alla finale e anche con il suo apporto vocale vincemmo il terzo premio.
Fummo contenti. Anch’io, pur consapevole di avere ancora moltissimo da imparare (le mie esperienze come direttore di un coro misto, a quel tempo, erano pressoché nulle).
Continuiamo:
Prima di poter disporre di una sede nostra, dovemmo attendere e sperare, quindi continuammo a provare nella accogliente stube della famiglia Stelzer.
Il percorso artistico del coro misto proseguì e si arricchì di nuove esperienze: concerti, rassegne, repertori nuovi sempre più impegnativi e adeguati alla continua maturazione dei cantori.
Iniziò pure l’immissione delle “voci bianche” ormai ex e che premevano per ritornare a cantare.
Con il coro Misto soddisfai il mio sogno: quello di cantare; istituii la sezione maschile e, approfittando dell’esperienza musicale dei miei cantori mi misi assieme ai tenori e ...(cito) “dirigere e cantar, mi vidi assieme”
FINE QUARTA PARTE
(Vai alla V parte)

La storia dei Minipolifonici III PARTE

1972 - 1973
Il 1972 è stato un anno molto importante per la storia dei Minipolifonici.
Il coro si dotò del distintivo, divenuto il marchio dei Minipolifonici chiunque lo veda riconosce in quel disegno e nella scritta, I Minipolifonici e Nicola Conci.
Un magnifico disegno ideato, realizzato e donatomi dall’amico pittore Gino Novello, a quel tempo mio collega alla scuola media dove insegnavo.
Dopo la vittoria di Prato, mi dedicai subito alla preparazione del concorso di Arezzo. Ancora Arezzo? Beh, sì, mi sentivo corroborato da nuove esperienze e constatavo il continuo progresso musicale e vocale dei cantori. Ne ebbi conferma dal risultato del concorso che assegnò al nostro coro il secondo premio, prima di noi un coro bulgaro: una formazione così strabiliante per tecnica vocale e preparazione musicale, da permetterle di affrontare pagine corali che a me apparivano di sconcertante difficoltà.
Risultato positivo, dunque, per più aspetti: la soddisfazione nell’aver retto con dignità il confronto con questi “mostri sacri” della coralità infantile, un ulteriore incoraggiamento a proseguire nel percorso da me intrapreso e la conferma nella mia convinzione di dare massima priorità alla formazione musicale e vocale dei miei cantori.
Ma torniamo alla storia:
Archiviate le positive esperienze di Prato e Arezzo, mi si presentò un “problema” inatteso: due giovanotti di sedici, diciassette anni, Teresa Braus e Mario Zambotti, studenti presso l’Istituto magistrale A. Rosmini, mi chiesero di istituire il coro misto dei Minipolifonici.
Ero molto titubante; non avevo ancora intenzione di avviare l’attività con questa formazione, pensavo di attendere il naturale avvicendamento e iniziare con gli ex cantori del mio coro.
Qui ci vuole una breve premessa:Nell’Istituto da loro frequentato, l’insegnante di musica Sonia Sirsen, mia carissima amica, eccellente sia come insegnante che direttrice di coro, aveva dato vita a un gruppo corale della Scuola, ottenendo ottimi risultati. Essendo originaria di Trieste, ricevuto l’incarico per l’insegnamento nella sua città, dovette trasferirsi e quella splendida esperienza si concluse con grandissimo sconforto di tutti i cantori.
Teresa e Mario vennero da me, per il desiderio di colmare quel vuoto improvviso. Hanno insistito, insistito al punto che dovetti cedere. Accidenti a loro? No! Grazie a loro!
Iniziò una nuova avventura, un’avventura colma di infinite, splendide emozioni, tensioni, inevitabili fra tante preziose individualità ma sicuramente apportatrice di ulteriori soddisfazioni per tutti. Fu un succedere di iniziative, avventure corali e umane alle quali io devo numerosi momenti di intima gioia.
In tutto questo fui solo? No! Non sono mai stato solo (accettate il gioco di parole): io ero “solo” un musicista, ma trovai tante preziose persone che hanno creduto in me, mi hanno compreso, accettato e silenziosamente assistito, senza di loro i Minipolifonici non ci sarebbero.
Quella che sto raccontando, infatti, non è solo la storia di un coro, delle sue attività, dei suoi concerti, dei suoi trionfi, è la storia di un piccolo, meraviglioso mondo costituito da tante anime che nei Minipolifonici hanno creduto, vissuto, internamente o di riflesso, contribuendo a farne una Istituzione, vanto per la città, luogo di incontro, nel quale la musica era collante per la condivisione di pensieri, gioie, ansie, affetti.
Sento la necessità di ricordare alcuni di questi nomi, nomi storici che a lungo e in vari modi hanno rappresentato punti fermi nella tutela dei Minipolifonici.
Non sciorinerò nomi a caso o in ordine alfabetico, ma ogni tanto ne menzionerò qualcuno collocandolo nel tempo in cui procede la narrazione della storia.
Inizio con Ivo Tartarotti, primo Presidente dei Minipolifonici, egli, senza nulla chiedere, senza particolari garanzie, forse anche senza particolari prospettive, per puro spirito di collaborazione, accettò la carica di Presidente e assieme, iniziammo il cammino, reciprocamente ignari di cosa il futuro avrebbe potuto riservarci.
Lui, e per affettuoso contagio, la sua cara moglie Sara, seguirono le avventure dei piccoli cantori, fra i quali c’era pure loro figlio Massimo, seguirono me per molti anni senza mai interferire, ostacolare, venendomi appresso solo per stima e fiducia.
A loro il primo “Grazie” di questa lunga storia, grazie che verrà implicitamente ripetuto ai prossimi protagonisti.
Accanto a Ivo, per alcuni anni, ha retto le sorti della segreteria e dell’esigua cassa, Paolo Mattedi.
Lui ha dovuto usare molta pazienza con me, io avrei voluto spendere, lui, che lavorava in banca, mi invitava alla prudenza: i soldi erano pochi, sempre troppo pochi, io insistevo: c’è bisogno di questo, di quello... e alla fine cedeva, accontentandomi. Che angelo!
C’è un altro proverbio che dice: “La luna senza sole non risplende, la merce senza soldi non si vende”. Quanto è vero! Io comunque, mai mi preoccupai per i soldi. Certo che ce n’è sempre stato bisogno ma ho avuto anche, sempre, ma proprio sempre, una Provvidenza nascosta nei volti e nei cuori di molte persone.
I primi anni ebbi il grandissimo sostegno di Vigilio Deanesi, genitore di Mauro, Claudia e Paolo.
Quanto mi sia stato di aiuto è difficile quantificare. Per diversi anni ci procurò frutta e verdura nei numerosi soggiorni, mettendoci a disposizione pure furgone, autista, per portare tutto, anche le attrezzature per il soggiorno, nella località prescelta.
Ricordo il sostegno morale del compianto Bruno Banal, genitore di Guglielmo, Gabriele, Marco, Michele, Luca. Egli mi fu vicino sempre, lo ricordo quando accompagnò me e i cantori, nel nostro primo viaggio ad Arezzo, inoltre, proprio il primo anno quando manifestai a lui l’intenzione di portare i cantori quindici giorni in montagna, le sue parole, sagge, rispettose mi incoraggiarono a decidere e dare avvio alla lunga serie di queste avventure.
A proposito di soggiorni, dal primo, nel 1971 all’ultimo nel 2004, la presenza di genitori e persone disponibili a preparare i pasti, col desiderio di portare aiuto, sollievo a me e al mio lavoro, ha rappresentato un altro volto della Provvidenza.
Eccoli quei preziosi, generosi angeli custodi delle mie prime, lontanissime ma dolcemente ancora vive, iniziative corali:
I Coniugi Gianotti, genitori di Roberto, i coniugi Faes, genitori di Maria, Enrico e Giovanna,
Il primo, a Sella Valsugana, è da ricordare, non perché più importante di altri ma proprio perché era il primo e tutti sanno che “il primo amore non si scorda mai”...
Un aneddoto? Eccolo: Avevamo terminato le prove, (ci stavamo preparando per Arezzo), i cantori erano sul cortile davanti alla casa, la cucina aveva la porta aperta.
I bambini, allora tutti maschi, stavano giocando, a cosa? a pallone, naturalmente!.
Esce la signora Gianotti e, riporto su per giù quello che disse: “ Ehi, mateloti, stè atenti con quel balon, de non tirarlo en cosìna, son drio che preparo el ragù!”
Neanche l’avesse intuito che, cinque minuti dopo: “ SPLASCH! il pallone piomba nella pentola del ragù. Esce la signora Gianotti con il mestolo in mano... “ Chi è sta’?... Silenzio... “ Chi è sta’?, ancora più forte e rossa in viso. “ So’ sta’ mi, mama... non l’ho fat aposta!” Era suo figlio Roberto. Situazione imbarazzante... “ Spiazarol!... e tornò in cucina brontolando: “tuti uguali sti mateloti!”
L’incidente finì lì. Grazie, Roberto! Il ragù, comunque, risultò ottimo!

Del secondo posto ad Arezzo ero rimasto contento, chiaro! ma non soddisfatto.
Potevamo migliorare, al di là del concorso ma, si sa, al concorso si va con tutte le buone intenzioni ma segretamente, una delle prime, si va per vincere e si canta per vincere.
Allora l’anno successivo, rinnovai la domanda. Sentivo i cantori pronti per affrontare il concorso e ambire di più. Ventisette voci mature, belle, grintose, insomma eravamo i “Minipolifonici!”
Lavorammo tantissimo, preparammo un programma tosto, azzardai “Le laudi alla Vergine” di G: Verdi, (avevo un’edizione su cui era scritto “Per voci bianche” e finalmente, via alla volta di Arezzo.
Arezzo 1973 La cronaca finale:
“Attenzione prego, attenzione prego, ventunesimo concorso polifonico internazionale Guido D’Arezzo, categoria cori di voci bianche; la giuria composta dai maestri... ha così votato: pausa... terzo classificato... non noi, secondo classificato... non noi, primo classificato... altra pausa, lunga, pareva non finisse mai, nessuno poteva sapere fino all’ultimo chi sarebbe stato nella terna, avremmo potuto essere risultati anche ultimi... I Min...” basta, non era necessario sentire altro.
Il resto è cronaca già letta nelle precedenti puntate: quanta felicità! quante emozioni! quanta ammirazione per quegli splendidi cantori!
FINE TERZA PARTE

La storia dei Minipolifonici II PARTE



Conoscete il proverbio che recita così: La fortuna aiuta gli audaci... E gli incoscienti?
Gli incoscienti, a volte, riescono a salvarsi se possono contare su un nutrito stuolo di Angeli Custodi.
Penso sia successo così, a me, se, nel 1971, dopo solo un anno di vera attività corale, decisi di portare quei fanciulli (alcuni di appena sette-otto anni) nientemeno che al concorso Polifonico Internazionale di Arezzo. Pezzo d’obbligo: Il Grillo di Orazio Vecchi, proposi poi Laudate Dio di G. Animuccia, e un altro brano che ora non ricordo.
Al concorso c’erano cori italiani e stranieri, questi, uno meglio dell’altro, specie il coro bulgaro vincitore del primo premio. Ci qualificammo IV, con un premio per il miglior coro italiano di quella categoria.
Riuscii a non stordirmi per l’inatteso risultato, anzi, tornai a casa con mille nuovi propositi.
Come prima cosa, decisi di cambiare radicalmente l’impostazione del coro, puntando a farne una Scuola di Coro. Consideravo importanti e prioritarie la formazione musicale e vocale dei cantori sull’allestimento del repertorio.
Come già scrissi, il coro, allora, era composto solo da bambini maschi. Insegnando educazione musicale alle scuole medie di Trento, dove c’erano classi maschili e femminili, mi chiesi perché non avrei potuto inserire nel coro anche le ragazzine.
Non riuscii a trovare motivazioni che potessero impedirmi di farlo, per cui in autunno aprii le porte del coro di voci -bianche, da secoli riservato rigorosamente ai soli maschi, anche alle bambine. Di alcune di queste “pioniere” ricordo ancora il nome: Anna, Chiara, Fernanda, Francesca, Giuseppina (per noi “la Beppa”), Patrizia, Roberta, Sandra...
Terremoto, sconcerto, mugugni di qualche maschietto, fiancheggiato dai genitori, che forse temeva di perdere ruoli primari nel coro, perplessità fra i nostalgici dei cori maschili, ma ne uscii indenne.
Non mi limitai a questo, feci di peggio: ritenni necessario staccarmi dal ruolo iniziale di coro della Parrocchia, laicizzandone la struttura.
Pure in questa occasione ci furono momenti di forte tensione, con il Parroco e alcuni genitori (pochi per la verità).
La maggioranza scelse di affidarsi alla persona e alle sue proposte didattiche.
Le conseguenze? Persi l’uso della sede in Parrocchia, che fortunatamente, trovai presso la vicina scuola elementare Nicolodi, grazie alla cortese ospitalità del Direttore dott. Mazzetti.

I Minipolifonici!
Partiti, quindi, lanciati verso entusiasmanti, trionfali, splendide emozioni corali.
Vi racconto la prima:
Nel 1972, corroborato dagli insegnamenti del precedente Arezzo, con i cantori più maturi, più musicalmente consapevoli, decisi di affrontare un concorso nazionale.
Mi si presentò il Concorso di Prato che ritenni adeguato a me e ai miei cantori. Iscrissi il coro, fummo ammessi, ci preparammo, partimmo. Quanti cori! Riuscii ad ascoltarne qualcuno, poi pensai ai miei cantori, tanto non avevo nulla da perdere; era la prima volta e, andasse come andasse, mi ritenevo già fortunato di essere stato ammesso.Tutti parlavano di un coro che aveva vinto l’edizione dell’anno precedente e pronosticavano il bis. Un direttore di coro mi disse: “Dobbiamo rassegnarci, non c’è niente da fare, da come hanno cantato finora i cori, lui è il migliore, la vittoria sarà sua anche quest’anno”. Subito dopo toccava a me e allora, fuori, in palcoscenico.
Il palco era ancora chiuso ed ebbi il tempo di sussurrare ai bambini: “Boci, abbiamo lavorato tanto, voi ed io, non rovinate tutto questo lavoro con la disattenzione, guardatemi e cantate come sapete...”
Nel dare l’intonazione avevo la voce e le mani che tremavano, presero la nota ugualmente: era la loro solidarietà. Il primo brano: “Madonna io v’amo e taccio” di C. Festa, il secondo: “Sanctus” di E. Desideri, il terzo, brano d’obbligo: “Madre del mio Gesù” di L. Cherubini, il quarto: “Vorrei parlar di te” di C. Eccher. Al termine dell’esecuzione strizzai l’occhio ai miei cantori e uscimmo.
Dissi ai bambini: “Bravi, boci”. Alcuni fra il pubblico si avvicinarono e mi fecero i complimenti. Che gentili, pensai. Sapete, in quelle situazioni, o si capisce poco di cosa stia succedendo o si capisce male, io avevo la mente confusa, ricordo solo che, quando mi chiamarono per salire sul palcoscenico, intuii che qualcosa sarebbe accaduto. Lo speaker con il tradizionale sadismo bianco che caratterizza tutti loro, iniziò con calma a comunicare la terna dei vincitori partendo dal terzo classificato. Allora capii il motivo della mia presenza lì: il mio coro era compresa nella fulgida rosa dei tre premiati.
“Comunichiamo l’esito del Concorso... Terzo classificato: coro... (bene). Secondo classificato: Coro... non noi!
Un urlo in platea, un urlo nel mio cuore che batteva all’impazzata. Abbiamo vinto! Oggi è di moda urlare: “Ssiii!, E Vvaii!” (con più punti esclamativi possibili.
Sono belle sensazioni, grandi sensazioni. Ti senti colmo di gioia e al tempo stesso leggero come una piuma. Abbracci, baci, strette di mano, quante strette di mano! E le gambe, il fisico... sembrava si fosse dimenticato di me, che fosse andato a festeggiare altrove, perché io mi sentivo quasi venir meno.
Ma non importa, che splendidi quei miei bambini!
FINE II PARTE