giovedì 23 ottobre 2008

La storia dei Minipolifonici VIII PARTE


Trento: la scuola di musica (II parte)
Nel 1984 mi sposai con Eleonora, (la Leo): un matrimonio indimenticabile anche per la dimostrazione di affetto unanime che i Minipolifonici profusero nell’organizzare questo nostro evento. Ricordo tanti, tanti bambini, ragazzi, giovani, che riempirono la chiesa in quello storico pomeriggio del 23 aprile 1984, di meravigliose musiche e canti, diretti alternativamente da alcuni componenti il coro misto. Autisti, servizio fotografico, filmato... tutto nelle loro mani... Accanto al regalo (un lettore CD che per allora era una novità) una bellissima poesia scritta da Bruno Banal...
Il mio trasferimento a Bolzano per lavoro e la mia nuova residenza creò, ai numerosi frequentatori di “casa Conci”, una situazione di disagio perché improvvisamente venne a mancare quell’ormai storico, quotidiano punto di riferimento. La mia presenza nella scuola e alle prove era comunque sempre garantita ma, nonostante i miei sforzi, non riuscii a colmare il vuoto del “tempo libero”. E’ stato un periodo sofferto per alcuni e anche per me, aggravato da incomprensioni reciproche, frizioni e contrasti dolorosi, che tutti, io per primo, abbiamo maldestramente gestito.
A quel tempo il Presidente era Stefano Kirchner: sempre pronto a realizzare qualunque idea gli proponessi, un bulldozer in grado di frantumare qualunque ostacolo che si fosse parato davanti. E’ assieme a lui che iniziai l’avventura della Scuola di musica e la sua presenza fu preziosa, insostituibile, fu un continuo succedersi di bellissime iniziative, sue, mie, a volte azzardate ma capaci di coinvolgere tutti. Un sincero amico cui debbo moltissimo e una parte dei Minipolifonici porta anche la sua firma.
I cori continuavano nel loro splendido viaggio, ancora concerti: Carmina Burana, Messa di Dvoràk, Lieder di Brahms, Bohéme, Il Barbiere, Lucia di Lammermoor, Requiem di Fauré, Vespri di M. Haydn, Messe di Mozart, Canti della tradizione popolare trentina, come già ebbi modo di scrivere: la Messa in si minore di Bach, e poi ancora concorsi, soggiorni estivi, il tutto alternato da traslochi in varie sedi e succedersi di nuovi Presidenti.
In seguito alle affermazioni e i riconoscimenti del coro dei Minipolifonici venni chiamato in Italia, in Francia, in Belgio, in Ungheria a tenere corsi per direttori di coro e a far parte di giurie nazionali e internazionali. Mi fu proposta pure la direzione del coro della Cappella Marciana di Venezia: coro della basilica di S. Marco, cattedra ambitissima, sul cui “scranno” sedettero musicisti come Monteverdi, Adriano Willaert e altri dello stesso spessore. Siro Cisillino, famoso musicologo veneziano, insistette moltissimo affinché accettassi l’incarico; rifiutai, perché esso avrebbe comportato il mio totale trasferimento a Venezia e il conseguente inevitabile abbandono dei miei Minipolifonici.
La Scuola di musica, intanto, proseguiva il suo percorso; gli alunni progredivano coadiuvati dall'impegno ed entusiasmo dei giovani insegnanti; particolare attenzione rivolsi  alla loro formazione, cercando di trasmettergli la gioia e la poesia dell’insegnamento, suggerendo di dare sempre priorità all’esclusivo interesse dell’allievo - soggetto in continua evoluzione - di non chiedere da lui ciò che avrebbe dovuto fare ma di essere attenti a ciò che lo stesso fosse stato in grado di fare, esaltando costantemente i suoi eventuali progressi. Pure i metodi didattici: “ Musica per me” e “Canto le note” che assieme a mia moglie Eleonora elaborammo, frutto di tantissimi anni di insegnamento, furono dedicati e pensati - quasi visualizzandoli uno ad uno - agli allievi della Scuola. Essi sono universalmente riconosciuti come il metodo dei Minipolifonici.  I primi tempi il concerto di fine anno durava tantissimo ed era caratterizzato da una passerella di giovani allievi che si esibivano uno dopo l'altro proponendo il loro pezzettino. Gradualmente riuscimmo, e fummo i primi, a tramutare questo appuntamento in una festa di musica proposta dagli allievi (anche i più piccoli) che suonavano in duo, trio, e in variegati gruppi. Un momento di gioia per me, ma sono sicuro per tutti, era  quando sul palcoscenico del teatro salivano i bambini piccoli (quattro- cinque anni), i bambini dei vari cori della Disciplina corale e sentirli cantare era veramente entusiasmante.
Nacquero altre nuove innovazioni didattiche; merita che le citi anche perché uniche e pensate per i bambini della mia Scuola.
Alcune di queste, più tardi, vennero prese dalla Provincia di Trento e fatte proprie nell’Ordinamento didattico delle Scuole musicali trentine iscritte all’albo (se la stessa mi avesse usato la cortesia di interpellarmi, anziché pagare una persona da fuori per suggerire “farine di altri sacchi”, mi sarei reso disponibile ad “offrirle personalmente” corredandole, inoltre, di quelle indispensabili informazioni per una più corretta, consapevole e proficua applicazione). Alla “Disciplina corale” e al “Giro degli strumenti”, di cui ho già scritto, aggiunsi la “Preparazione all’orchestra”, “In orchestra per diletto”, diedi volentieri vita al “Gruppo strumentale giovanile” su dolce e insistente richiesta del vicepresidente Fernando Guarino, successivamente istituii il “Gruppo giovanile di fiati” affidandolo a Michele Cont (ottimo didatta), inoltre: “Dai bambini la musica per i bambini”, “I concerti per gli allievi”
Nel frattempo altre scuole musicali italiane vollero prendere a modello la mia didattica: l’Istituto musicale di Crema che diressi per quattro anni, I Piccoli Musici di Casazza, Zogno in val Seriana, Milano, Bergamo, Salorno (scuola voluta dal direttore didattico dott. Ivan Eccli, avviata e diretta per diversi anni da Eleonora Dalbosco). Ideai, allora, “Insieme per suonare”: tre incontri itineranti, nei quali si trovarono a suonare, cantare e proporre le loro espressioni musicali tantissimi bambini, ragazzi delle diverse scuole accomunati dall’identica gioia di “fare musica” e dalla stessa filosofia didattica.
Molte altre scuole in Italia si aggiunsero e continuano tuttora a seguire il metodo nella sua completezza, perché l’hanno compreso, ci credono e sono convinti della sua validità: in Trentino: Cles, Tesero, Arco, e poi in Liguria, Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto, Umbria, Marche, Calabria, Sicilia...
I miei impegni fuori sede comportarono un inevitabile ridimensionamento della mia presenza nella Scuola di Trento. Ero comunque abbastanza tranquillo perché la ritenevo una Scuola ormai avviata e in grado di camminare anche senza la mia costante presenza. Individuai in Stefano Chesini il mio “supplente”: giovane e ottimo insegnante di flauto ma soprattutto “didatta”. La differenza nei termini, per me è sostanziale: l’insegnante mette l’allievo al sevizio della conoscenza, il didatta mette la conoscenza al servizio dell’allievo. Non sono i diagrammi colorati di rosso, verde, giallo, per distinguere gli orari delle lezioni che consacrano il direttore di una scuola, (per quello è sufficiente un segretario), e neppure la capacità di stilare domande, curare la contabilità e quant’altro, (per questo basta un segretario amministrativo), ma la capacità di comprendere il linguaggio della didattica, la capacità di dialogare con gli insegnanti, con gli allievi, con i genitori e l’attenzione a salvaguardare soprattutto la filosofia della scuola stessa, questo è l’insostituibile compito del Direttore. Stefano Chesini svolse il suo ruolo con entusiasmo e già sognavo che un giorno avrebbe potuto assumere l’incarico definitivamente, mentre io mi sarei messo tranquillo “alla finestra”. A quel tempo, però, non ero ancora in grado di assicurargli un posto fisso per cui lo Stato se lo prese dandogli il ruolo nella scuola media. Lo ricorderò sempre non solo con affetto ma anche con stima e riconoscenza per tutti quegli allievi ai quali trasmise la gioia di studiare, di suonare, di “fare musica” con lui. Dovetti rinunciare a uno dei miei migliori insegnanti. Diresse pure il “Gruppo strumentale giovanile” della Scuola e anche lì si fece apprezzare e amare. Grazie, Stefano!
Questo gruppo, come il Gruppo giovanile di fiati (ragazzini fra gli  undici e i sedici anni), furono protagonisti di numerosissime e apprezzate esecuzioni musicali nella loro città e fuori.
L'ottima riuscita di queste due realtà è da attribuire anche al costante  impegno e ammirevole dedizione dei giovani musicisti.  Anche loro hanno contribuito non poco a scrivere un meraviglioso pezzo della storia dei Mini. Alcuni di loro ho avuto l'emozione di dirigerli. 
MA NON TUTTE LE STORIE HANNO UN LIETO FINE...
Nel 1999 il Consiglio di amministrazione nominò un altro supplente ed io rimasi alla guida della Scuola soprattutto per quanto riguardava il rapporto con gli insegnanti e la cura della didattica.
La distanza fisica non mi ha mai impedito di continuare a lavorare e pensare alla Scuola, è proprio in quest’ultimo periodo che promossi ancora nuove iniziative. Oltre a “Insieme per suonare”, fra il 2000 e il 2002 ideai “Lezioni concerto”, “ Al Music bar”, “Perché ci piace cantare”, “Storia di un ritardo annunciato”, “Musica in concorso”, redassi un articolato Ordinamento didattico, prospettando due specifici indirizzi: quello amatoriale, e quello professionale; avviai il “Coro di voci bianche della scuola” e volli che due insegnanti presenziassero alle mie lezioni nella speranza che imparassero per poi proseguire da soli...

Quando, però, in un’ Associazione, nata per esaltare nelle coscienze, nei cuori dei bambini e dei ragazzi il valore della musica, si inseriscono politica e politicanti ecco che l’essere, l’esistere si trasforma in apparire e tutto cambia: l’allievo non è più il “soggetto” destinatario di attenzione, ma diventa “oggetto”, numero da aggiungere freneticamente al conto per dare “spettacolo”, ottenere facili “consensi”. La spasmodica ricerca di ingrandirsi, di espandersi in ogni anfratto del territorio fece precipitare l’Istituzione in una pericolosa, drammatica equazione: più allievi, più insegnanti, più sedi, più esibizioni = più esposizione = più contributi i quali richiedono ancora più allievi, che richiedono più soldi, più..., più..., più..., un vortice incontrollabile. Da una “grande scuola” stava trasformandosi in una “scuola grande”, a me il numero di quasi cinquecento allievi cui già era arrivata appariva esageratamente e presuntuosamente troppo. Assistevo con preoccupazione e impotenza alla perdita della genuinità, alla perdita del fine didattico cosicché l’arte del proporre un percorso di crescita ad esclusivo vantaggio dell’allievo regrediva desolatamente. Così stava avviandosi la mia Scuola e contro questo modo di concepirla, io, il fondatore, il direttore mi trovai solo, l’unico a lottare, caparbiamente, con forza a volte estrema, accorata. La botta finale fu quando proposi una persona di mia fiducia nella successione alla direzione della scuola: era mia convinzione che tale persona dovesse avere determinati requisiti, non certo manageriali, altre erano le garanzie a cui davo priorità.
Annunciai al Consiglio la mia intenzione di lasciare la direzione e indicai Chiara Biondani quale mio successore (diplomata in canto, Direttrice e Presidente della Scuola musicale C. Eccher di Cles, una fra le prime voci bianche del primissimo coro, e già insegnante nella mia Scuola). Risultato? “Nicola Conci è un pericolo per i Minipolifonici”: questo era quello che i vertici dell’associazione seppero instillare con maestria. 
Ricordo l’ultimo concerto di fine anno scolastico, i recenti accadimenti mi fecero sentire straniero in quella realtà che fu per vent’anni un pezzo importante della mia vita. Dolore, senso di vuoto, rabbia contro tanti, contro tutti... no, gli allievi no, quella sera mi sembravano la cosa più pulita che ci fosse in teatro.
Al termine del concerto, un’ allieva mi chiese: “Conci, cantiamo -Dopo la pioggia-?” Non ce la feci proprio a sedermi al pianoforte e cantare tutti assieme...
Nel settembre del 2002 diedi le dimissioni da quella associazione.
Sono passati sei anni e continuo a pensare (ed è buffo): la scuola che porta il nome: I Minipolifoni non segue la didattica dei Minipolifonici (è come se la scuola Steineriana non seguisse il metodo del suo fondatore) mentre sempre di più in Italia scuole che non portano questo nome sono MINIPOLIFONICI. 
Con tristezza concludo: dal 2002 l’associazione I Minipolfionici di Trento non si rispecchia più nella didattica e nella filosofia dei Minipolifonici, per cui di qualunque attività realizzata non mi attribuisco né meriti né colpe.

Il prossimo capitolo sarà senz'alto di altro respiro...

lunedì 13 ottobre 2008

La storia dei Minipolifonici VII PARTE


(Leggi la I, la II, la III, la IV, la V, la VI parte)

La scuola di musica
Siamo negli anni ottanta, esattamente nel 1981.
A quel tempo le offerte di formazione musicale per bambini e giovani erano rare, andavano per la maggiore le lezioni private e le istituzioni musicali ufficiali erano rappresentate quasi esclusivamente dai Conservatori (scuole preposte alla preparazione di futuri musicisti).
Io non ho mai amato le lezioni private, specie se impartite ai bambini, le consideravo e le considero ancora, aride, finalizzate all’insegnamento di uno specifico, unico argomento: noiosi momenti di controllo settimanale sulla qualità dello studio, riducendo l’allievo a contenitore di regole, studi, esercizi.
Sempre di più mi ronzava in testa il desiderio di proporre un diverso modo di fare musica, dove al dovere dell’apprendimento si opponesse la gioia della scoperta, della conoscenza, dove l’allievo dovesse desiderare di "andare a musica", farsi ascoltare dal proprio maestro, verificare con lui i progressi raggiunti e soprattutto incontrare altri allievi con i quali suonare assieme, cantare assieme, subito, anche con le poche note appena imparate.
Ritenevo inoltre che la musica dovesse essere proposta non solo dai dieci anni in su, com'era in Conservatorio, ma fin dai primi anni.
Decisi allora di dar vita a una mia Scuola di Musica. Progetto ambizioso ma non presuntuoso. Sapevo ciò che avrei voluto fare, un po’ meno come avrei potuto farlo, quello che proprio non sapevo era dove; anche qui la Provvidenza ci mise lo zampino. Abitavo in viale Bolognini 28, una casa molto grande nella quale trascorsi più di trentacinque anni della mia vita: si sarebbe prestata per iniziare, anche perché non ci sarebbero stati problemi condominiali. Chiesi a Elena Bonini e Giuseppe Pedrini (il Beppe), con i quali abitavo, se fosse stato possibile ospitare nel pomeriggio un po...? di bambini per fare lezioni di musica. Accolsero la mia richiesta con generoso entusiasmo.
Voglio riservare uno spazio, anche se piccolo ma doveroso, a queste due persone: in pochissimo tempo (un paio di mesi) portai in casa una quarantina di bambini sistemati in tre stanze, così che dalle due alle sette, era un andirivieni di fanciulli e un intrecciarsi di canti e suoni; non hanno mai brontolato, si saranno anche beati dalle voci di questi bambini, ma lo scompiglio non era poco (quante volte Beppe è corso ad aprire la porta ad ogni squillo di campanello!)
La riconoscenza mia e dei Minipolifonici nei loro confronti è tanta e mai basterà.
Era nata la Scuola di musica dei Minipolifonici.
Iniziai subito con bambini di cinque, sei, sette, otto anni, età diverse e quindi con diversi programmi. La formazione musicale di base: “alfabetizzazione”, ebbe subito un ruolo, se non primario, quantomeno paritetico all’insegnamento dello strumento. “Perché?”, voi potreste chiedermi, “non ha lo stesso valore formativo?” Per me si, cari amici, ma, leggete questa curiosità: quando iniziai a insegnare “teoria, solfeggio e dettato musicale” al Liceo Pareggiato, prima, e al Conservatorio, dopo, la mia materia era considerata “complementare”, lo stipendio, inferiore rispetto a quello degli insegnanti di strumento, non ammetteva dubbi. L’insegnante di solfeggio, era come il personale “paramedico”, aveva il compito di preparare al meglio e prima possibile l’allievo all’"operazione” affidata poi al “chirurgo”. Tolsi questa cattiva abitudine.
Gli insegnanti erano ragazzi giovani, non ancora diplomati, alcuni cresciuti con me nelle voci bianche, altri allievi miei in Conservatorio ai quali feci improvvisare l’arte dell’insegnamento: Sonia Sartori, Annalia Nardelli, Francesco Serpetti, Marco Mazzeo, Emanuele Cavallini, Sonia Carli, Eleonora Dalbosco... Una ragazza del coro: la Beppa, faceva la segretaria. La risposta da parte dei genitori fu pronta e in breve tempo casa mia divenne insufficiente, per cui dovetti cercare una sede più spaziosa.
Uno fra i numerosi vantaggi che una scuola privata possiede è quello di potersi cucire addosso un proprio programma didattico, di poter sperimentare metodologie, introdurre discipline particolari, soprattutto prescindere dal modello del Conservatorio.
Col tempo elaborai, assieme a Eleonora (mia moglie), un metodo per la formazione musicale dei bambini dai tre ai tredici anni che divenne “La didattica dei Minipolifonici”.
Istituii lezioni collettive obbligatorie, prima fra tutte “Disciplina corale”.
Oggi, quando un genitore iscrive il proprio figlio a una scuola di musica, non trova strano che fra le materie currciulari, ci siano Lettura musicale e Disciplina corale.
Allora, non era così e farle accettare ai genitori, (anche a numerosi insegnanti), non è stato semplice.
Gli allievi continuavano ad aumentare, nel frattempo risolvemmo il problema della sede. Constatavo che, per lo strumento, la scelta cadeva soprattutto sul pianoforte e sulla chitarra, pochissimo o niente per gli altri. Non riuscivo a spiegarmi il perché di queste scelte univoche, e flauto? violino? violoncello? Dedussi che il motivo fosse da ricercare nell’assenza di una adeguata informazione. Ideai il “Giro degli strumenti”.
Con questa nuova proposta didattica (a quel tempo prima e unica in Italia), al bambino, nell’arco di un anno, viene data la possibilità di ricevere alternativamente, quattro lezioni al mese di uno degli strumenti presenti nella scuola; occasione importante per l’allievo stesso il quale ha l’opportunità di vedere, toccare, provare e provarsi a suonare diversi strumenti, poi, con l’aiuto dell’insegnante, operare una scelta più consapevole, che lo porterà ad accostarsi allo strumento a lui più idoneo. Soluzione che col tempo si rivelò geniale.
Assistetti infatti, a un graduale e radicale cambiamento, trovandomi con classi molto più equilibrate che mi permisero di inserire pure altri strumenti. 
Un piccolo ma doveroso spazio voglio dedicarlo anche a quelle persone, non insegnanti, che nella conduzione di una scuola rappresentano un importante cardine; mi riferisco alle segretarie. Nel percorso della Scuola si sono succedute cinque “vestali”, eccole: La cara Beppa, corista-segretaria, coraggiosa e appassionata pioniera dei nostri primi anni. Nadia: giovanissima, appena uscita dal corso, s’è messa a lavorare, con impegno ed entusiasmo. Orietta: gioviale, disponibile, duttile, capì presto il sistema e svolse il suo lavoro con grande professionalità. Daniela: bella voce del coro misto, precisa, puntuale, sicura; un posto, più adatto alla sua preparazione, la fece scappare... Barbara: mi dispiace  averla immeritatamente sottovalutata perché anche lei profuse nella Scuola grande entusiasmo e professionalità;  non dimenticherò mai, inoltre, che in un momento doloroso, devastante della mia vita nei Minipolifonici, fu l’unica in quel contesto e in quel “gruppo” ad essermi vicina, a manifestarmi la sua grande umanità e il suo rispettoso affetto. Grazie, Barbara.
Diressi questa mia Scuola per vent’anni, facendone una "Grande Scuola".
Un po’ alla volta racconterò di Essa, mi racconterò, racconterò dei meravigliosi momenti vissuti assieme agli allievi, dei concerti all’Auditorium dove al termine centinaia di bambini, ragazzi, giovani, il Coro misto e anche gli insegnanti, salivano sul palco per cantare tutti assieme “Dopo la pioggia viene il sereno...” Era un auspicio, un presagio?...

domenica 5 ottobre 2008

La storia dei Minipolifonici VI PARTE


(Leggi la I, la II, la III, la IV, la V parte)

Fra il 1980 e il1981, l’istituzione “Coro” si trasformò in “Associazione Culturale I Minipolifonici”; avevo numerosi progetti e così strutturata mi avrebbe garantito una maggiore funzionalità organizzativa e gestionale.
Intanto il Coro misto aveva raggiunto un livello considerevole, già scrissi della costituzione del Coro maschile, (era bellissimo cantare con i miei ragazzi!), la “par condicio” mi suggerì di istituire anche il Coro femminile, poi, non pago, arrivò pure il Gruppo madrigalistico. Arezzo e Gorizia videro tutte queste formazioni nei primissimi posti della classifica.
Concerti? Il numero è incontrollabile, inoltre: partecipazioni a rassegne nazionali, internazionali, collaborazioni con orchestre sinfoniche e liriche.
Con il continuo inserimento nel Coro misto delle ex voci bianche sorse un problema, anzi, due: il coro rischiava di “intasarsi” per il numero eccessivo di nuovi cantori, sia ragazzi che ragazze, difficile da gestire, poi c’era da considerare la giovanissima età dei nuovi arrivi (quindici, sedici, diciassette anni), per i quali era necessaria una particolare attenzione, specie per i ragazzi maschi, la cui voce non era del tutto formata, inoltre dovevo tenere conto, nella scelta del repertorio, delle musiche più adatte ai cantori stessi.
Diedi vita, quindi, al “Coro dei Giovani” ospitando ragazzi che avrebbero cantato fino al raggiungimento dei diciotto anni; una splendida “ciurma” di adolescenti ricchi di solide esperienze corali e musicali. Un percorso corale che diede a tutti noi preziose emozioni umane e artistiche.
Ed ora desidero raccontare qualche avvenimento significativo nella vita del Coro misto.

Nel 1988 ideai il “Premio internazionale per direttori di coro”: un concorso unico a quel tempo, perlomeno in Italia. Per l’occasione commissionai al M° Luciano Berio una composizione: "Canticum novissimi testamentum", a sedici voci che costituiva il brano d’obbligo per la prova di musica contemporanea.
Il programma del concorso era vario e articolato in più fasi: ammissione, eliminatoria, finale.
Il repertorio, assai vasto, comprendeva il periodo della polifonia classica, della musica romantica, sinfonico-corale e contemporanea.
Avevo bisogno di due formazioni corali: i Minipolifonici avrebbero curato la polifonia rinascimentale e la musica contemporanea, il secondo coro il repertorio romantico; per il repertorio sinfonico-corale sarebbero stati impegnati entrambi i cori. Un numero di brani considerevole, da permettere al coro di dotarsi di due programmi da concerto. Da non trascurare l’occasione di cantare sotto la direzione di diversi direttori, molti dei quali di altissimo livello.
Mi sembrò bello offrire ai numerosi cori classici della mia Provincia l’opportunità di prendere parte a questa iniziativa e chiesi alla Federazione Cori del Trentino la disponibilità a farsi promotrice.
Alla fine dovetti darmi da fare personalmente chiedendo ai vari direttori la loro disponibilità; la risposta più illuminante che ricevetti e anche l’unica fu la seguente: “Maestro, questa l’è n’occasion per portar via le vozi migliori ai altri cori; se no ’l g’ha i cantori sufficienti ‘l se meta el cor en paze, che ‘l concorso no ’l riuscirà a farlo”.
Che peccato!
Naturalmente non mi persi d’animo, convinto nella validità della mia iniziativa chiesi all’amico Maestro Piergiorgio Righele, direttore del coro di Malo, la disponibilità sua e del suo coro a collaborare con noi ed egli accettò, ringraziandomi per l’occasione datagli.
Il concorso fu un successo, vennero concorrenti da ogni parte del mondo. Il primo premio fu vinto da un concorrente ungherese.
All’esecuzione del brano contemporaneo assistettero il M° Berio e l’autore del testo Edoardo Sanguineti che si complimentarono con il coro per l’ottima esecuzione del brano e con i Minipolifonici per l’ottima iniziativa. Comunque, nessun cantore del coro di Malo venne carpito dai Minipolifonici.

Nel 1960, ero un ragazzotto, ebbi l’occasione di assistere nel duomo di Trento all’esecuzione della Messa in si minore di Bach. Rimasi sconvolto, commosso, affascinato dalla bellezza di quella musica, del coro, dell’orchestra.
Proposi a me stesso che un giorno o l’altro, l’avrei eseguita.
Ci vollero quarant’anni ma finalmente mi si presentò l’occasione: il direttore artistico dell’orchestra Haydn di Bolzano e Trento mi chiese di preparare il coro per l’esecuzione di quella splendida Messa. “Sommo giubilo!” Il gran momento era finalmente arrivato.
Era necessario un organico di almeno settanta elementi; io non li avevo... allora... errare humanum est, perseverare... chiesi ancora ai vari direttori trentini, chissà! forse il nome di Bach e la sua musica li avrebbero ammaliati?
Risposero entusiaste e subito solo diverse coriste del coro Sociale di Pressano del M° Giuseppe Niccolini, che per altro avevano generosamente collaborato anche in altre occasioni e alcuni cantori che aderirono di loro iniziativa. Che dire a Bach?... “Bah!”
Comunque, nessun cantore che collaborò con noi venne carpito dai Minipolifonici.

Un giorno mi accadde di ricevere la telefonata del direttore del coro di un notissimo teatro italiano, era disperato perché avrebbe dovuto preparare dei brani di musica contemporanea risultati vincitori ad un concorso e la data dell’esecuzione era imminente.
Il coro di quel teatro... non aveva tempo... e conoscendo me e la qualità dei Minipolifonici, mi chiese se fossi stato disposto a prepararli io con il mio coro. Mi riservai di accettare dopo aver visionato i brani. Li lessi... (Gulp!)...  parlai ai miei cantori, avevamo solo una decina di giorni... decidemmo di accettare: entusiasmo giovanile, un pizzico di pazzia (anche più di un pizzico), comunque da parte mia ero sicuro dell’assoluta padronanza nella lettura musicale dei cantori; l’esecuzione riuscì e fummo tutti soddisfatti. Una curiosità: la sera del concerto (programma solo di musica contemporanea), il teatro era gremito di curiosi, intenditori, ignari spettatori e... di un centinaio di giovani militari di leva rigorosamente in divisa. Secondo voi - noi ce lo siamo chiesto - son capitati lì per sbaglio o facevano parte di un gruppo mandato lì in punizione? Le facce e lo sconcerto dei malcapitati militari ci tolse ogni dubbio: la classica punizione di “ramazza” al confronto, avrebbe avuto il sapore di una “licenza premio”.