A pieno ritmo e con tutto il "Grandeur" da baraccone di festa paesana, sono iniziati i due programmi canori più amati dai genitori italiani; quei genitori che, privi ormai di qualsiasi pudore, attendono il momento nel quale il loro piccolo si offre al pubblico per prepararsi una buona dose di lacrime a comando non appena si rendono conto d'essere ripresi dalla famelica "cerbottana" del cameraman. Li definiscono programmi per i bambini ma per loro non lo sono affatto. Loro, sono solo oggetti, carne da spettacolo, da pubblicità di articoli per l'infanzia; sono cuori che palpitano, sinceramente palpitano, e come palpitano! Concentrati nel loro ruolo di "divi" per tre minuti, preoccupati di non deludere le aspettative di tutto il parentado, nonni compresi, bloccati sulla sedia, davanti al televisore con un capiente fazzoletto in mano, pronti, anche loro, ad arginare l'inevitabile emorragia di lacrime. Questo chiedono l'"Arena virtuale" e il suo pubblico). E i bambini ci credono, credono ai genitori che fanno di tutto per assecondare il proprio effimero, recondito sogno; credono ai conduttori che, da bravi professionisti, sanno entusiasmarli, circuirli, aiutarli al punto di ritenersi grandi interpreti come o meglio dei loro modelli. Pensano che questa sia la loro Musica, che questo potrebbe rappresentare il più ambito e fortunato loro futuro: "Il successo, immediato e facile". Ma questo è come stampare un libro prima ancora di scriverlo: bello, con la copertina elegante, accattivante, le scritte in oro, disegni colorati così, a caso ma dentro ancora niente perché manca il vissuto, mancano le esperienze, le conoscenze.
I veri destinatari di questi programmi non sono loro ma le canzoni, i cantanti che le hanno scritte o lanciate (rigorosamente musica leggera meglio se canti d'amore, che con l'innocenza infantile non hanno nulla da spartire). Ma i bambini non meritano questo, non è il giusto messaggio per la loro armoniosa e sana crescita. Quando i bambini si propongono al pubblico è per donare qualcosa che loro hanno preparato e nel quale c'è la gioia di offrirlo, la lucida consapevolezza di aver appreso qualcosa che serve soprattutto a loro, acquisita nella quotidiana, costante preparazione, studio, in un contesto preparato proprio per loro (la Scuola, per esempio). Perché il bambino deve imitare l'adulto? Perché deve condizionare la propria voce a immagine e somiglianza vocale dell'esecutore originale, fingere di gioire, spasimare, soffrire d'amore, contorcersi sul microfono perché così si fa se si vuol essere come i grandi cantanti? I bambini devono suscitare solo ammirazione, rispetto per quello che riescono a fare quale frutto del loro impegno. Loro non devono provocare tenerezza, quella tenerezza forzata, fuori luogo e per questo inutile, falsa. Il luogo giusto per il bambino non è il palcoscenico ma il suo quotidiano "cortile" nel quale muoversi, esplorare, conoscere, imparare a distinguere ciò che solo piace da quello che veramente vale. Imparare a fare le scale per salire, non con la pedana mobile del palcoscenico. Non è educativo fargli credere che tutto intorno ruoti attorno a lui ma lui ne fa parte e deve imparare a viverci saggiamente, serenamente come un fiore di campo non un effimero, sgargiante buchèt di plastica. Deve imparare che le grandi cose, le grandi imprese non avvengono in una serata per quanto scintillante e ammaliatrice.
"L'Everest non si conquista in ascensore"!
Nicola Conci
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