venerdì 19 dicembre 2008

La storia dei Minipolifonici XII PARTE

Bella la nuova sede: luminosa, grande (anche nell'affitto); iniziammo con ancora maggiore entusiasmo, speranze, determinazione e progetti, tanti progetti.
Ma i progetti hanno bisogno di strumenti che concorrano a realizzarli, e fra questi c’ era la necessità di un pianoforte, un mezza coda, poi un buon computer per la gestione dell’ufficio. Qui desideriamo ricordare con affetto la signora Bonivento (Pucci per gli amici, e quindi anche per noi), mamma di Margherita e Claudia. Tanto fece e tanto brigò che riuscì a faci avere, tramite un suo generoso amico, un bellissimo pianoforte a mezza coda e un utilissimo computer. Altri genitori, in forme diverse, ci hanno sempre assistiti e menzionarli tutti diventerebbe assai difficile, ma per ognuno di loro rimarrà a lungo nel tempo il nostro riconoscente pensiero.
Il coro, pur nella continua alternanza delle voci, manteneva solido il suo livello quasi professionale, caratteristica della didattica dei Minipolifonici. Le lezioni solistiche davano frutti: molte voci, tutte diverse e con diverse caratteristiche timbriche, diversi problemi, alcuni grossi, altri risolvibili in minor tempo, molti risolti; è così che potemmo scoprire voci veramente belle, particolari, alcune eccezionali. A premiare questo lavoro, nostro e dei cantori, giunse una telefonata dal Teatro Donizetti di Bergamo: erano in preparazione i festeggiamenti per il bicentenario della nascita di Gaetano Donizetti, (1797), grande compositore bergamasco, e cercavano sei bambini, unici protagonisti di un’operina: ”La prova dell’Accademia finale” scritta da Simone Mayer per i suoi allievi di composizione e canto fra i quali vi era pure Donizetti, allora undicenne. La parte richiedeva bambini in grado di sostenere brani di grande difficoltà, con passi di vero virtuosismo vocale. (Nel 1700 chi studiava musica doveva conoscere non solo la composizione e saper suonare anche più strumenti ma doveva possedere pure una grande conoscenza della voce nel canto e solida tecnica vocale).
Il direttore artistico del teatro e il direttore di esecuzione vennero in sede, ascoltarono i bambini e mezzora dopo ci affidarono con entusiasmo e ammirazione l’incarico di prepararli per le quattro recite in programma.Ecco i nomi di questi piccoli ma grandi artisti: Giuseppe Bartesaghi, Matteo Cavallini, Giulia Foppoli, Paola Insolia, Alessandra Palidda, Erica Pozzi. Un particolare che ci piace farvi sapere, emozionante per noi: quest’opera fu eseguita la prima volta dai sei ragazzini, allievi di quel tempo, fra cui Donizetti, la seconda volta dai ragazzini cantori dei Minipolifonici, ognuno dei quali impersonificava uno degli antichi protagonisti.
Come andarono le recite? “Un vero e grande successo”. Non vogliamo trascurare di ricordare anche i sostituti, altri cantori che intervennero pure loro in una recita: Manuela e Rita Tanda,  Silvia Laniado, Clara Pozzi.

Come abbiamo scritto sopra, la sede era bella, grande, con tre luminosissime sale di sessanta metri quadri l’una, un atrio altrettanto spazioso, altre due aule poco più piccole e un bell’ufficio.
Ciascun’aula era destinata a diverse necessità: c’era quindi un’aula per gli allievi di sei/nove anni, nella quale allestimmo pure uno spazioso angolo con tavolini e sedie destinato ai piccolissimi; un’altra aula era riservata alle lezioni di “lettura musicale” (noi consideriamo condizione irrinunciabile dare ai cantori l’opportunità e i mezzi per raggiungere coscientemente e con padronanza, autonomia nella lettura e intonazione delle note); c’era poi l’aula della “Formazione da concerto”.
Rendere accogliente la sede ha sempre rappresentato un obiettivo importante da raggiungere. La sede, per noi, significa luogo di incontro, diverso, totalmente diverso dall’ambiente scolastico. Tutto ciò che in essa è contenuto appartiene al quotidiano vissuto dei cantori: cartelloni, di-segni, furtivi messaggi di saluto, trofei, a volte ninnoli lasciati lì dai bambini quasi a voler prolungare e virtualmente confermare l’appartenenza a quel gruppo, sicuri che al ritorno, la volta successiva, essi saranno ancora lì ad aspettarli per continuare assieme il cammino musicale. E, specie i bambini piccoli, ma no, anche gli altri, tutti, al termine delle lezioni, si faticava a mandarli a casa. I più piccini, poi, entrati in sede, per prima cosa si toglievano le scarpe, per cui, dopo diventava arduo correre dietro a loro per rimettergliele; una corsetta alla tastiera, per ricercare le note della canzone appena imparata, poi via a suonare uno strumentino, a prendere la mano della mamma per portarla a vedere il proprio disegno appeso alla parete, sembrava cercassero qualcosa da fare pur di rimanere ancora un po’ nel loro angolo della musica.
E così il tempo trascorreva, a volte correva, specie in prossimità di concerti.
E quelli arrivavano: in Lombardia (molti a Milano), in Veneto, nel Lazio, in Piemonte...
In occasione di un concerto in un’importante chiesa di Milano, venne ad ascoltarci Ornella Vanoni. Deve aver apprezzato le voci dei bambini perché li volle nella realizzazione di un suo nuovo CD. Fu un lavoro impegnativo ma ne valse la pena.
In un’altra occasione, era l’11 febbraio del 1999, ricevemmo una telefonata che ci informava della scomparsa di Fa
brizio De Andrè, e per chiedere la presenza del nostro coro a Genova alla cerimonia funebre. La richiesta ci venne dalla moglie di Fabrizio, che avendoli sentiti cantare, espresse questo desiderio.
Fu per tutti, un’emozione grandissima, per noi che di Fabrizio cantammo per anni le sue fantastiche canzoni (splendida colonna sonora negli anni della nostra ancora giovane età) e per i bambini, storditi e attoniti, sommersi da una grandissima folla che stipava la chiesa e attorniati da personaggi famosi della musica e dello spettacolo, amici di Fabrizio. Noi, adulti, vivemmo questa inattesa partecipazione un po’ come grato omaggio a uno fra i più grandi “cantastorie” italiani. Quando poi Matteo, all’ambone, intonò da solo “Du bist bei mir” di J. S. Bach, il silenzio assoluto pervase la chiesa e la voce limpida del bambino impose ancor più una grande ma composta commozione.
Continua

martedì 2 dicembre 2008

La storia dei Minipolifonici XI PARTE

La storia dei Mini di Milano è un concerto eseguito a “quattro mani” dalla Leo e da me,  e va scritta quindi a "quattro mani" perché assieme l’ avviammo e assieme la concludemmo.
In nove anni di attività, ne son passati di bambini! Impossibile menzionarli tutti, ma, vogliamo ricordarne alcuni, perché furono loro a segnare l’inizio di questa nuova meravigliosa avventura.
Ecco, allora, le prime “colonne” dei “Mini di Milano”.
Speriamo di non trascurarne troppi, anche se contro la nostra volontà.
Davide, Giuseppe, Samia, Kathiusha, Paola, Alvise, Carlo, Matteo, Sergio, Francesca, Daniele, Antonio, Camillo, Michele, Stefano, Andrea, Regina, Giovanni, Ismael; altri poco dopo dovettero lasciare il coro per il cambio di voce che, specie nei ragazzi maschi, “semina vittime” nel periodo dell’adolescenza; molti altri erano davvero piccolini ed ebbero più tardi occasione di essere protagonisti nei successivi appuntamenti.E adesso possiamo proseguire.
Organizzammo la scuola strutturandola in diversi gruppi a seconda delle età; I più piccoli suddivisi fra quelli di tre anni, quattro anni e cinque anni, età molto diverse anche se vicine, per le quali è necessario un diverso approccio con la musica. Istituimmo poi tre gruppi corali: il primo per cantori di sei/sette anni, il secondo cantori di otto/nove anni, il terzo “la formazione da concerto” dieci/quattordici anni. I cantori di quest’ultima formazione, oltre alla lezione di lettura musicale e le prove di coro, ricevevano un’ora di lezione vocale solistica, condizione indispensabile per poter lavorare e controllare costantemente il percorso della loro voce.
Queste furono le prerogative che fecero della scuola di musica dei Minipolifonici di Milano la vera scuola di coro che permise ai cantori di affrontare con consapevolezza e lucidità vocale qualsiasi repertorio, antico e contemporaneo.
Questa caratteristica permise al coro di allestire numerosi brani, anche di notevole difficoltà e se necessario, in brevissimo tempo.
In quel periodo il coro partecipò alla prima esecuzione italiana dell’oratorio “Clamour du Monde” di F. Pantillon, eseguito con il coro della radio svizzera e l’orchestra sinfonica dell’Università la cattolica di Milano, all’esecuzione dei corali di J S; Bach, a concerti a Varallo Sesia, Borgosesia, ad Alba e a Bellinzona, presentando una prima esecuzione per coro di voci bianche della “Favoletta” di C: F: Semini.
Rimanemmo nella sede di Via Zuretti per tre anni, da dove partimmo più volte per concerti in Lombardia, (Milano, Crema, Cremona, S. Angelo lodigiano), in Piemonte, in Veneto, in Svizzera, a Roma.
E anche qui, puntuale, un tenerissimo aneddoto: un giorno venne a trovarci un nostro carissimo amico e mio ex cantore, venne con la sua compagna e (aneddoto su aneddoto), rimanemmo sorpresi, per non dire sconvolti, nel vederli ogni tanto estrarre ognuno il loro cellulare e parlare al telefono.
(I cellulari, nel 1993, non avevano la diffusione di oggi!, noi stessi guardavamo con un certo distacco quelli che parlavano con quel “coso” vicino all’orecchio), figuratevi quindi il nostro sconcerto nel vederli parlare ognuno con il proprio telefonino.
Oggi nemmeno ragazzini di otto, dieci anni rimarrebbero stupiti, ma allora!
Dunque, questo nostro amico, dopo i cordiali convenevoli di: “Come va?, come state?, cosa fate di bello? ecc..., ci apostrofò così, di brutto: “Voi cosa chiedete per un concerto delle voci bianche dei Minipolifonici?” Ritenendola una domanda solo curiosa gli comunicammo la cifra. “Va bene”, disse, “allora io voglio te e il coro dei Minipolifonici per cantare al mio matrimonio che sarà celebrato a Roma.” Inutili furono i nostri tentativi di rifiutare il compenso, non ci fu modo di dissuaderlo.
Fu una cerimonia bellissima, il canto di quei bambini lo commosse e lo riempì di gioia, e noi? Immaginatelo!
Dopo questo impegno, ci volle ancora a Roma per un concerto a favore dell’Associazione “Bambini cardiopatici”, e questa volta fummo lieti di offrirlo, provando tutti, bambini e noi, altre fortissime emozioni. Cantammo ancora per quella Associazione, considerando la nostra partecipazione un piccolo dono dei nostri bambini ad altri bambini sofferenti.
Ci fa piacere ricordare il nome di questo nostro amico: Giovanni Danieli, non solo per quanto raccontato prima ma anche perché egli ci fu vicino per molto tempo, sostenendo personalmente spese per le attività del coro e per l’acquisto di una splendida fotocopiatrice che ci risolse non pochi problemi nell’organizzazione delle parti per i cantori.
La sede di via Zuretti stava rivelandosi sempre meno adeguata alle nostre prospettive didattiche per cui ci guardammo attorno alla ricerca di una soluzione più idonea.
La trovammo dalla parte opposta di Milano: in zona Ovest (Milano è divisa in “zone” ognuna delle quali contiene centocinquanta/duecentomila abitanti), per cui il nostro trasloco assunse le dimensioni di un vero e proprio trasferimento. Ciò comportò un grande rischio: quello di perdere cantori ai quali, raggiungere la nuova sede, avrebbe comportato un maggior impiego di tempo.
Ma come sempre, potemmo contare su genitori meravigliosi, che, pur consapevoli di inevitabili disagi, non si scoraggiarono, anzi, si organizzarono con un pulmino per accompagnare i bambini alle prove.( C’era un cantore: Giuseppe, che veniva due volte la settimana nientemeno che da Mandello, sul lago di Como).
Il trasloco materiale dell’attrezzatura fu un’impresa epica per la quale ancora una volta potemmo contare sulla generosità e disponibilità di genitori e amici.
Per due caldissimi, afosi giorni (era fine giugno), ci fu un andirivieni di furgoni, macchine, genitori che si prodigavano nel trasportare tutto e a spalla, al terzo piano del nuovo edificio. E’ dolcemente doveroso ricordarli perché senza di loro, per noi sarebbe stato quasi impossibile. Ricordiamo (com’è possibile dimenticarli?) i loro nomi: Bartesaghi, (genitori di Giuseppe e Tommaso), Cavallini (genitori di Matteo), Campagna (genitori di Federico), Grippa (genitori di Kathiusha), Tanda (genitori di Rita e Manuela), Mette (genitori di Michele e Francesca), inoltre, assai prezioso fu anche l’aiuto di Roberto Cavosi, un nostro allievo e amico di Bolzano che in quei giorni venne appositamente per darci una mano. (non ce ne vogliate se omettiamo qualche nome...)
Alcuni mobili provenivano da casa nostra e trovammo in Stefano Lovato (un altro nostro amico cantore) la disponibilità del furgone e della sua guida; lo vogliamo ricordare perché si rese disponibile, al termine del suo lavoro senza chiedere nulla; partì con noi da Trento la sera molto tardi, arrivammo a Milano verso le due di notte, ci aiutò a scaricare e ripartì subito perché la mattina dopo avrebbe gareggiato nella “Trento-Bondone” . A tutte queste persone diventa davvero confortante manifestare la nostra riconoscenza, anche a nome delle future generazioni di Mini che si sono trovati una sede bella, accogliente, frutto pure della loro generosità.
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