domenica 3 agosto 2008

Nicola Conci narra una storia inventata, assurda ma...

Vi racconto una storia:
Presso la scuola elementare di uno sperduto paesino, o di una delle tante scuole elementari di qualsiasi parte d'Italia, insegnava un maestro innamorato della poesia, innamorato al punto che non perdeva occasione di insegnarne una ai suoi scolari, quasi ogni settimana; non solo, ci teneva moltissimo che le poesie imparate venissero recitate con la giusta inflessione, con i giusti accenti, le rime, le virgole, il tutto applicato in modo coretto ed elegante. La classe, quasi in unica voce, recitava le poesie ogni volta meglio, ogni volta con maggiore compenetrazione al testo; ne imparò molte, arrivando a realizzare un vero "repertorio" di liriche da proporre nei consueti saggi scolastici. "L'albero cui tendevi..." "Non sempre il tempo..." "La donzelletta vien dalla campagna..." "T'amo, o pio bove e mite un sentimento..." "Nella Torre il silenzio..."
Era sempre assai attesa la recita, e col tempo la notizia di questi splendidi bambini valicò i confini del paesino, raggiunse altre scuole, raggiunse le scuole delle città più grandi, tanto che gli stessi bambini venivano invitati da numerose parti a dare sfoggio della loro arte.
La fama di questa classe giunse alle orecchie del Ministro della Pubblica Istruzione. E qui avvenne un fatto che portò l'intera scuola del paesino, gli abitanti, il direttore, il maestro e i suoi allievi in uno stato di esaltazione, emozione, orgoglio collettivi. Cos'era successo di tanto importante? Il Ministro della Pubblica Istruzione espresse il desiderio di recarsi personalmente a trovare quei fantastici bambini e il loro splendido maestro "fulgido esempio di autentica dedizione alla Cultura, all'Arte, alla Poesia".
Il maestro, divenuto improvvisamente l'eroe del giorno, venne convocato dal direttore assieme al Consiglio d'Istituto con i quali si stabilì la programmazione della visita: venne formalizzata la costituzione di un Comitato organizzatore con il compito di provvedere che l’arrivo del Ministro e tutta la cerimonia si svolgessero nel migliore dei modi; su suggerimento del maestro venne individuato il cortile interno della scuola come luogo più adatto “acusticamente” alla esibizione dei bambini. Seguì un incontro del maestro con i suoi allievi per decidere quali poesie proporre al Signor Ministro, ci fu un animato scambio di proposte per concordare il repertorio. Da parte di qualche bambino venne la proposta di preparare una nuova poesia in onore del Ministro, proposta scartata dal maestro, con un solenne:" Non c'è molto tempo, ragazzi, facciamo bene quello che già sappiamo!"
Arrivò il gran giorno. I bambini, emozionati, il maestro, vestito a festa (probabilmente col vestito nuovo) faticava a tenerli calmi, gli insegnanti seduti in prima fila assieme al Comitato organizzatore, i genitori con macchine fotografiche e videocerbottane in continua attività, la poltrona cardinalizia in centro per il Signor Ministro, accanto, il direttore con signora, il bidello capo di vedetta per segnalare l’arrivo... dimenticavo: la signora Adelina, moglie del maestro (con la borsetta delle grandi occasioni tenuta stretta al braccio e in mano, quasi come una pallina, un fazzoletto per le eventuali commozioni), in disparte ma in posizione strategica per vedere suo marito e farsi vedere da lui.
Finalmente: “Eccoli!” Brusio, vociare generale, i presenti si alzarono e cento teste girate si affannarono a scorgere per primi l’entrata del Ministro; il maestro sistemò i bambini sussurrando l'ultima accorata raccomandazione: “Attenti ora, mi raccomando, voce in avanti, pronuncia decisa, sentimento!”
Entrò il Ministro accolto da un caloroso battito di mani, il direttore gli andò incontro, gli tese la mano e, con un largo, ossequioso sorriso glie la strinse calorosamente, presentò la sua signora, calpestando, nel retrocedere, involontariamente ma dolorosamente, il piede del suo segretario: "Pardon" (sommesso) "Oh nienteee" (un po’ meno sommesso).
Il Ministro salutò i bambini col braccio e loro risposero battendo le mani, il maestro allungò la mano verso il Ministro il quale non vide perché stava già sedendosi sulla poltrona.
I piccoli artisti, consapevoli dell' importante ruolo, si posero attenti al loro maestro.
La tensione era collettiva, le macchine fotografiche esplosero gli ultimi colpi, poi, in breve tempo, il silenzio fu padrone del quadro.
Maestro (salivazione zero): “Di Giacomo Leopardi eseguiremo Il sabato del villaggio”
Al suo cenno una sola voce, intensa, sonora, carica di emozione, sciolse le rime...
Terminata la poesia esplose calorosissimo l'applauso, alternato da un’ulteriore bombardata di scatti e ronzii di fotocamere.
Un’altra poesia, altri applausi, altre foto (chissà perché ancora foto? erano gli stessi bambini di prima), e così via.
Nell’intervallo, fra una recitazione e l’altra, vi fu un sommesso, concitato movimento attorno al Ministro, il quale, dopo aver parlottato con il direttore, estrasse da tasca un foglietto e glie lo consegnò.
Il direttore fece un cenno al capo dei bidelli che si precipitò da lui e lo incaricò di predisporre alcune fotocopie del foglietto consegnatogli.
L’esibizione dei bambini durò una buona mezz'ora che regalò a tutti molte emozioni.Al termine, il direttore ricevette ripetuti e ampi gesti di entusiastica approvazione da parte del Ministro e i protagonisti furono oggetto di continui e convinti applausi.
Il Ministro si avvicinò al maestro, questa volta sì con l’intenzione manifesta di stringergli la mano, e glie la strinse tanto calorosamente facendo seguire un plateale abbraccio.
Il maestro si sentiva l’eroe del momento, ora tutti gli battevano le mani, tutti gli applausi erano per lui e i suoi allievi: il direttore, gli insegnanti, i genitori in piedi, i bambini stessi che ormai senza più limiti, si sentivano legittimati a scandire con gli applausi il nome del loro insegnante.
La signora Adelina, con gli occhi lucidi, si sbracciava inviando a suo marito numerosi: “Bravo, bravoo!”
Ella non seppe trattenersi dal rivolgesi al suo vicino, un signore vestito di scuro, probabilmente l’autista, e urlargli: "E’ mio marito!"
Il Ministro fece capire che desiderava rivolgere due parole (previste e attese) e l’"assemblea" si ricompose.
"Mi è particolarmente gradito essere qui con voi... bla... bla... bla... questa scuola, questo insegnante, questi bambini ci hanno donato momenti di intima gioia facendoci assaporare recitazioni di liriche lasciateci in eredità dai loro sommi autori; ma ancor più l’emozione è stata grande per me, come penso per tutti voi, nel considerare il grande valore culturale, educativo operato dall’ottimo maestro...ehm..." "Antenore Varetti" (gli suggerì il direttore) "Ettore..." "Antenore, Antenore Varetti!" (ripeterono gli alunni), "Antenore Ver... Varetti nell’aver avviato questi piccoli uomini del domani all’amore verso la lettura, la poesia e auguro loro di dedicarsi anche nel futuro a questa splendida arte, mai sazi di conoscere, recitare, declamare... bla... bla... bla... Affascinato dalla loro bravura, dalla loro grazia e in segno tangibile della mia incondizionata stima, mi sono permesso... improvvisare alcuni versi a loro dedicati e naturalmente al loro bravo maestro.
Il vostro direttore, cortesemente, ha provveduto a fare alcune copie di questi versi: sarei onorato sentirli recitati per la prima volta da voi”.
Il Ministro porse le copie al maestro perché le consegnasse ai bambini, il maestro, fra l’imbarazzato e il risentito, si rivolse a lui e ai presenti dicendo: "Ma... i bambini non sanno leggere, glie le ho insegnate tutte io... a orecchio!”...

Trasferiamo questa storia nella sede di un qualsiasi coro di bambini di uno sperduto paesino, o di una qualsiasi città di qualsiasi parte d'Italia: essa, così assurda, diventa drammaticamente vera, sacrosanta!
Nicola Conci